giovedì 18 novembre 2010

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Voci


Ho tanti personaggi che mi affollano la mente e che non riesco a dominare. A dire il vero, la maggior parte nemmeno mi è simpatica. La mia testa è intasata da draghi che spaccano tutto, di vampiri crudeli e affamati, di uomini ridicoli e di donne improbabili. Saranno anche il frutto della mia fantasia, ma io non faccio altro che subirli, loro e le loro storie, senza riuscire a impormi, a trattenerli se vorrei che restassero o viceversa. Vanno e vengono, fanno e disfanno a piacer loro, interagiscono, si scannano, ogni tanto mi consultano ma il più delle volte neanche mi danno retta. Semplicemente, i meandri del mio cervello sono diventati il loro parco giochi.

E pensare che io non amo il fantasy, l'horror e nessuno dei generi che, se fossi capace di immortalarli su carta, questi tipi costituirebbero. Non so chi li mandi né cosa vogliano da me. Non credo vogliano esistere, nel qual caso si sarebbero rivolti alla persona sbagliata, visto che io già non sono capace di raccontare la mia di storia, figuriamoci le loro. E poi mi fanno paura. Ma, più di tutti tra i mostri della mia mente, a farmi paura è Marika. Marika è una donna bellissima con i capelli lunghi e rossi che le arrivano fin quasi al fondoschiena, sensuale e senza pudore. Si muove nel mio mondo molto meglio di quando sappia fare io. È sicura e seducente e si porta a letto tutti gli uomini che vuole, preferendo quelli che mi stanno più simpatici.

Con quelli, lo so, ci prova più gusto a trattarli con maggior crudeltà. E poi si lascia guardare mentre fa l'amore, sa che la guardo, anzi, fa di tutto affinché io la guardi, sembra godere di più. Io, più dei draghi e dei vampiri, vorrei che ad andarsene fosse lei, invece nulla. Tra i tanti, nella mia testa c'è anche un serial killer. Ogni tanto fa fuori qualche personaggio di troppo, in modo, dice, da ristabilire un mio equilibrio mentale. Secondo lui dovrei anche ringraziarlo. Gli ho chiesto di far sparire Marika, ma niente, non ha voluto. Al massimo, ne uccide gli amanti.

Un paio li ha uccisi prendendoli a coltellate proprio mentre facevano l'amore con lei. Marika non ha battuto ciglio. Ha scansato i corpi inermi dal suo e si è ripulita del sangue che le era scivolato addosso. Poi si è rivestita, ha baciato il serial killer, mi ha dato un'occhiata, ha accennato un sorriso, ed è uscita di scena. Questa donna mi ossessiona, vorrei sparisse dalla mia mente eppure sento al tempo stesso di subirne il fascino, nonostante mi faccia paura.


Ma a terrorizzarmi più di tutto è la possibilità che Marika sia io.

Una volta credevo di no, non era possibile, al massimo potevo essere stato uno dei suoi mille amanti, uno che magari aveva tentato di suicidarsi per lei, e che fosse la causa per cui mi trovo qui ora. Il problema è che non ricordo niente di me, neanche se sono un uomo o una donna e non ho la minima possibilità di accertarmene guardandomi allo specchio. Marika domina i miei pensieri, e questo mi lasciava supporre fossero quelli di un uomo. Di un uomo che quella donna ha fatto impazzire e spinto al suicidio.

Ma poi ho sentito il dottore chiedere all'infermiera « come sta la paziente? », quindi dovrei essere donna. Finora non ho mai sentito nessuno pronunciare il mio nome, perciò non so se Marika sia la proiezione di quello che davvero sono o è piuttosto l'alter ego di come vorrei essere o essere stata. Sembra che nessuno sappia nulla di me, nessuno mi viene mai a trovare, forse è troppo doloroso, per parenti e amici, ammesso che io ne abbia, vedermi in questo stato e probabilmente si saranno anche convinti che non serva a nulla. Sono in coma, e anche se le macchine rivelano un'attività cerebrale più o meno intensa, il mio corpo non reagisce agli stimoli. Da quel che ho so, anche i miei occhi sono chiusi.

E' come se fossi in un lungo sogno da cui non riesco a svegliarmi. Non ho la cognizione del tempo, ma se non ho capito male è da due anni che sono in queste condizioni. Una volta ho sentito confabulare qualcuno, non saprei bene chi, se non fosse il caso di spegnere i macchinari. Tanto, non viene a trovarmi mai nessuno e per l'ospedale sto diventando un costo eccessivo. Sono finita in un'area piuttosto solitaria dell'ospedale e, per non correre il rischio che qualche malintenzionato possa intrufolarsi furtivamente dentro, le finestre sono quasi sempre chiuse e le tapparelle abbassate. Sembra ci siano già stati problemi del genere in passato, così ora nessuno vuole prendersi la responsabilità di lasciarle aperte. Le aprono giusto quel tanto che basta per le visite o per far cambiare l'aria. Trascorro il mio tempo così, vagando tra le mie fantasie e i miei incubi nel buio più assoluto. Mi chiedo se abbia davvero il diritto di lamentarmene, o se questa non sia una condizione comune a tutti gli esseri umani, cercare tracce tra le proprie follie per capire chi siamo.

Ignoro cosa mi sia successo, so a malapena di essere finita in coma due anni fa e dopo un periodo non so quanto lungo di incoscienza totale la mia mente riesce quantomeno a pensare, pensa cose strane ma pensa, ed è popolata soprattutto dalle mie paure. Il mio corpo invece ha smesso di rispondere al mio controllo così per gli altri è impossibile capire cosa succeda dentro di me.

Se fossi capace, mi creerei un mondo su misura, ambientato nell'epoca vittoriana e con personaggi alla Jane Austen, popolato da affascinanti donzelle, facoltosi gentiluomini e simpatiche canaglie. Ma ogni volta che ci provo arrivano Marika e gli altri a rovinare tutto. Così ho rinunciato. Mi tengo i miei demoni così come sono perché in un mondo in cui tutti mi hanno lasciato sola, la mia immaginazione, nonostante i suoi limiti, è l'unica cosa a ricordarmi che sono ancora viva. Una volta pensavo che quei mostri mi affollassero la testa perché per loro era l'unica possibilità di avere una qualche forma di esistenza. Ormai sono del parere contrario, vengono solo a ricordarmi che sono io ad esistere ancora. Almeno finché non staccheranno la spina.

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martedì 16 novembre 2010

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Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio


"Si è aperto oggi l' 8a edizione del Festival della Letteratura di Pescara, anche se quest'anno è stato battezzato come il "Festival delle letterature dell'Adriatico", connotandolo con un tema preciso. Magari non c'entra nulla, ma io mi sono fatto l'idea che, non avendo tra gli ospiti nomi di richiamo, si sia preferito puntare sul tema. Secondo gli organizzatori, questo sarebbe il terzo, per importanza culturale, dopo quelli di Mantova e Roma. Se fosse vero, trovo strano che questo primo intervento, il cui tema era la storia di Pescara e l'importanza strategica del suo territorio nel corso degli anni, curato da Licio Di Biase, abbia attirato non più di venti persone. Non le ho contate, ma è probabile fossero meno e non di più.


Ma è anche vero, come hanno ammesso coloro che sono intervenuti, che in questa città, più degli altri capoluoghi abruzzesi che hanno mantenuto la propria identità nel corso degli anni, è stata la città stessa,, e con essa i suoi abitanti, a perdere la propria memoria storica con quelli che potremmo definire continui "lifting", trasformazioni attraverso le quali si sono persi, spesso volontariamente, i segni del passato. Le uniche che si sono imposte e che in qualche modo hanno adombrato tutto il resto, sono quelle di Gabriele D'Annunzio.



A tutti gli effetti, infatti, Pescara sembra una città moderna, mentre le sue origini risalgono addirittura a 3000 anni fa, un villaggio chiamato Vicus Aterni e successivamente Aternum.Ed è dal mattino che quel villaggio fu fondato che parte il libro presentato dall'autore, un bel tomo di 624 pagine.


"Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio" questo il motivo che ha spinto l'autore nella sua minuziosa ricerca. E forse è anche quello che spinge me a scrivere questo post, visto che sono 10 anni che abito qui e so ben poco della zona in cui vivo. L'importanza di Pescara era dovuta, come ancora adesso, alla sua posizione strategica. Per i romani, che erano soliti chiamarla Ostia Aterni (foce dell'Aterno) era il primo porto raggiungibile da Roma, ed è quello il motivo per cui crearono la strada di collegamento Claudio Valeria, chiamata oggi Tiburtina.


Considerando che quello pescarese è sempre stato territorio di confine, ha subito contaminazioni e con più culture, compresa quella orientale, e le sue fortune sono sempre state dovute al porto. In tempi sereni, diventava luogo di fiorenti commerci. In tempi di guerra, perdeva il suo appeal a favore delle comunità montanare. Infatti è stato, tra gli altri, continuo luogo di scontro tra longobardi e bizantini. Sembra che la leggenda di San Cetteo, attuale patrono di Pescara, risalga proprio a quei tempi.


Leggenda vuole che sia stato ucciso e gettato in mare dai longobardi, e lui sia stato trovato dall'altra parte dell'Adriatico. Sull'esistenza del personaggio si hanno dei dubbi, considerato che era vescovo ma allora Aternum era senza diocesi, tuttavia a quei tempi vescovo più che capo della diocesi significava "capo della città", quindi non è questo a rendere improbabile la leggenda. Sul resto non mi pronuncio, anche perché non è che ne sappia molto.


Nel 1000 cambia nome e diventa Piscaria, nome dovuto per l'alta pescosità del suo mare. La città si rilancia anche come luogo di incontro, vi si può trovare anche una sinagoga, poi requisita dal vescovo. Nel Medioevo il porto diventa appannaggio dei potenti del luogo, e in quel periodo la città cade di nuovo nell'anonimato, per riprendersi solo grazie ai numerosi investimenti sul porto degli Angioini. Porto utilizzato soprattutto dai chietini per commerciare i propri prodotti. Curioso come oggi la disprezzano, visto che sono stati loro a farne le fortune.


Intorno al 1300 nacque il marchesato di Pescara, occupato nei secoli da francesi, spagnoli, Borboni. E se per tutti era un'importante piazzaforte costiera, è con la stabilizzazione del Regno di Napoli che la città fiorisce. Nella Piazzaforte, l'unica del Regno in un territorio pianeggiante, a controllo del suo porto più a nord, si stabiliscono i militari, e intorno a questi si sviluppa il commercio e l'artigianato locale. In pratica, i primi sintomi di quella che oggi viene definita movida.


Le fortune della zona collinare, invece, sono sempre inversamente proporzionali a quelle della costa: in calo quando la prospera la zona portuale, o viceversa. Si racconta che nel 1500 dall'Albania vennero deportati gli schiavi, facendoli passare per quello che oggi è chiamato Colle Schiavone. Nonostante il fiorente commercio che vi si poteva trovare, Pescara è sempre rimasto poco più di un villaggio. I territori che si sviluppavano erano quelli sui promontori.


E' solo con l'arrivo della ferrovia che cambiano le carte in tavola e nascono gli scali, oltre quello pescarese, di Montesilvano, Silvi, Giulianova, ecc. e il litorale acquista importanza, e con esso Pescara dove già vi si poteva trovare il porto e un facile collegamento con Roma. A non aver mai avuto troppo peso nella storia della città, e non essere stato adeguatamente sfruttato, è invece il fiume, ingiustamente trascurato anche ai tempi in cui, almeno in parte, era navigabile.


Sebbene si sappia che Pescara è nata dall'unione di due Comuni, Castellamare e, appunto, Pescara, separati dal fiume e Piazza Unione è stata chiamata così proprio in ricordo dell'episodio, si può dire che ha città ha ben luoghi identitari, anche se ognuno è un po' vissuto di vita propria, avendo genesi e sviluppo autonomi nel corso dei secoli, e questa è un altra delle cause per cui si è persa la memoria collettiva della città.


Questi luoghi sono: a) la zona collinare, dove arrivavano i teramani; b) la zona pianeggiante, diventata prospera con l'avvento della ferrovia; c) il borgo marino nord, dove arrivavano i pescatori delle Marche; d) la movida, nata dalla Piazzaforte; e) Villa del fuoco, rifugio di quelli che volevano tenersi lontano dai militari; f) Fontanelle, che era un feudo; g) San Silvestro, comune autonomo h) la Pineta, nata negli anni 20. L'urbanizzazione avvenuta nel 1900 ha cancellato quasi completamente le tracce di queste storie. Qualcosa è pur sempre rimasto, come nomi, chiese e anche qualche monumento.


Ad essere scomparsa definitivamente è Castellamare, a partire dal nome, niente in città la ricorda. La Piazzaforte è stata abbattuta nel 1869, in quanto limitava la crescita della città; la stazione, nata nel 1862, più di recente, per dare spazio a una più moderna. Non sono gli unici "monumenti" di cui Pescara si è privata nel corso degli anni, dove spesso i dirigenti locali hanno preferito dare spazio al futuro cancellando il passato. Rimasta, per fortuna, è quella vocazione all'accoglienza e all'integrazione da vero "porto di mare"qual'è sempre stata e, probabilmente, non smetterà mai di essere.

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lunedì 8 novembre 2010

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Il respiro del mondo
come fiato sul collo si accavalla tra i confini del vento.
Sospiro tempi perduti tra giochi infantili,
ricordi di istanti felici, pretesi e mai resi
di cuori deserti, sogni custoditi in cassetti mai aperti
pensieri sprofondati nell’oblio,
delirio di una mente incosciente
d’essere forse finita tra illusioni mai spente.
Crescendo qualcosa si cambia
e scivola via una nuova pazzia;
non credi più a niente o ci credi per sempre
e quello che conta spesso è solo una donna,
chimera di sogni e istanti perversi
idillio di tramonti ormai persi
e se cambia qualcosa è come una rosa:
un flagrante profumo su uno stelo di spine
un sottile confine
ma la vita non cambia se anche si cambia;
un altro giro di mano, uno sguardo lontano,
la pallina che gira impazzita
sul rosso o sul nero è una scelta di vita
l’hai vinta o l’hai persa una nuova scommessa
come fiato sul collo si accavalla tra i confini del tempo
un profondo sospiro
per l’ultimo giro.

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giovedì 4 novembre 2010

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Cercando la strada

sfere

Richiesta di informazioni al primo passante
Scusi, sa la strada per Colle dei Fiori?
Lasci perdere! tanto siamo in inverno. Fiori non ce ne sono.

Richiesta di informazioni al secondo passante
Scusi, sa la strada per Colle dei Fiori?

Eh, eh, eh.
Allora?
Lei è qui per il matrimonio?
No.
Si sposa la figlia del sindaco, lo sa?
Auguri.
A me fa gli auguri? Mica mi sposo io.
Si, ma la strada per Colle dei Fiori?
Parente dello sposo o della sposa?
Perché, le strade cambiano a seconda della parentela?
No, chiedevo se lei era un parente dello sposo o della sposa
Non sono qui per il matrimonio.
E allora cosa va a fare a Colle dei Fiori?
A trovare un amico
Un amico, eh?...parente dello sposo o della sposa?
Lasciamo perdere. Chiederò più avanti.

Terzo passante
Scusi, la strada per Colle dei Fiori?
Dove deve andare?
A Colle dei Fiori.
Si, ma dove? Che cerchi? La piazza, la posta,la banca...?
A trovare un amico. Abita nella piazza di fronte la Chiesa.
Chi sta cercando?
Leonardo Brumetta.
Brunetta, Brumetta, Brumetta...il carpentiere?
E che ne so? tutto ciò che so è che lavora nella fabbrica qui vicino.
Eh, qua tutto il paese lavora in fabbrica. Ci ho lavorato anch'io sa? per cinquant'anni. Mi sono rovinato i polmoni in quella fabbrica.
Mi dispiace. Ma la strada per Colle dei Fiori?
Altro che Colle dei Fiori! Da quando c'è quella maledetta ciminiera non ci cresce più nemmeno la gramigna.
E' terribile. Ma come ci arrivo?
Come arriva dove?
Alla piazza di fronte la Chiesa?
Ah, è qui per il matrimonio!?
Lasci perdere, và.

Quarto passante.
Scusi, vado bene per Colle dei Fiori?
Dove deve andare?
A Colle dei Fiori.
Ho capito, intendo se deve raggiungere un posto in particolare...
Chiesa dei Miracoli.
Eh, guardi che per il matrimonio ha fatto tardi. Perché non fa una cosa? Vede quel casolare laggiù? Torni indietro e vada fin lì.
E perché mai?
E' il ristorante per il pranzo quello. Ormai li invitati saranno quasi tutti lì.
Non sono un invitato, allora.
E perché va al matrimonio, allora?
Non voglio andare al matrimonio. Volevo solo raggiungere la Chiesa.
Per vedere la sposa? Bella, eh? Sa che è la figlia del sindaco?
Si, me l'hanno detto.
Ma lei è un giornalista?
No.
Insomma, è venuto fin qui solo a curiosare?
No, solo a cercare un amico. E' ora, me la dice la strada per la Chiesa?
Basta che raggiunga la piazza.
E come la raggiungo?
Guardi, ha due possibilità...o prende questa strada sterrata, anzi no, che se non la conosce rischia di perdersi, bé non che sia così complicato, vada a destra due tre chilometri, finché non arriva dalle parti di un casolare giallo...è di un mio amico sa?...a quel punto giri a sinistra? O sempre a destra? No, no, a sinistra...sì, a sinistra le dico, prosegua dritto fino al ponte, poi giri a sinistra fino al semaforo, al semaforo dovrebbe proseguire dritto, ma in realtà non può perché è senso unico, quindi lei deve andare prima a destra, prendere la rampa e uscirne subito a quel punto si ritrova dall'altra parte della strada, quindi si infili per la rotonda e torni indietro, segua il cartello che indica la Chiesa ed è arrivato. Chiaro, no?
Ehm, veramente,no.
Faccia una cosa allora, vada sempre dritto. Ma guardi che così allunga, sa?

Al citofono
Che c'è Leonardo?
Chi sei?
Un amico.
E cosa vuoi da Leonardo?
Niente, solo salutarlo.
Ma siete colleghi?
No, solo amici. Insomma, c'è o no?
No, mi spiace. È andato al matrimonio.

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lunedì 12 luglio 2010

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La ragazza

ragazza con la valigia vista di spalle
La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.

Piero Calamandrei, Discorso agli studenti milanesi, 1955

Fu un parto difficile, sopratutto perché in molti vi si opposero. Se non fosse stato per la volontà dei genitori, che si batterono strenuamente per lei, forse non sarebbe mai venuta al mondo. Eppure nacque, e i più l'accolsero con gioia, altri con riluttanza, alcuni con sospetto. Crescendo divenne una bambina vivace e benvoluta da tutti. La gente si rese conto di non poter più fare a meno di lei. Quale grave perdita sarebbe stata se i suoi genitori si fossero lasciati convincere ad abortire! pensavano tutti, ormai abituati a vederla scorrazzare allegra e spensierata per la città.Era così gentile, aveva sempre un pensiero e un sorriso per tutti, tanto da diventare persino famosa.

Talmente famosa che arrivavano, a volte, anche da molto lontano pur di poterla guardare negli occhi, almeno una volta nella vita. Che certe fortune non ce l'avevano tutti. Chi poteva, restava, in modo da poterla incontrare ogni giorno. Lei diventava sempre più bella, sempre più forte, sempre più dolce.

Passarono gli anni e molti, pur continuando ad apprezzarla, erano così avvezzi alla sua presenza che quasi non ci facevano più caso. Troppo occupati nei loro affari, era già tanto se si ricordavano di salutarla. Lei un po' ci rimase male, anche perché aveva sempre fatto il possibile per ognuno di loro, però cerco di capirli: in fondo ognuno ha i suoi problemi.


Sebbene non avesse nessuna particolare aspirazione e si trovasse a suo agio soprattutto trai ceti medi, la corteggiavano soprattutto i potenti, i politici, gli uomini d'affari. La invocavano sempre a gran voce e le facevano di quei madrigali, che un po' la facevano ridere, e un po' la lusingavano. Alla fine, se ne sentì conquistata.

Ma c'era qualcosa di anomalo nei loro modi, qualcosa che la faceva sentire soprattutto un oggetto, con cui accompagnarsi davanti la folla, da mostrare agli altri e poi nascondere quando non serviva più. Anzi, succedeva sempre più spesso che volessero nasconderla, quasi fosse proprietà esclusiva. Quelli mettevano bocca su tutto, pure sulle persone che frequentava, che mica stava bene, che lei frequentasse tutti.

E se qualcuno chiedeva sue notizie rispondevano: “Sta bene, ci pensiamo noi”. Provò a protestare, ma fu inutile. Tutte le loro azioni venivano giustificate con la frase: “Ma se l'ho fatto per te!”. A lei sembrava una scusa bella e buona, un pretesto per nascondere dietro motivazioni apparentemente nobili le peggiori magagne, ogni giorni sempre un po' più grosse...e pretendevano pure di essere ringraziati. Provò a chiedere aiuto alla gente ma la gente sembrò non capire, o forse preferì non sapere. Magari era colpa della crisi. Alcuni avevano figli, altri problemi economici, insomma non avevano mica tanto tempo da dedicarle.

Qualcuno le rinfacciò persino di essere un'ingrata, considerando come uomini di quel rango si prodigassero in mille attenzioni e le volessero bene. E non c'era verso di spiegare che no, non le volevano affatto bene, fingevano. E non era lei a essere ingrata, ma loro, la gente con cui era cresciuta, prodighi di complimenti a parole ma incapaci di gesti concreti quando ce n'era bisogno.

O forse avevano solo paura. Si era lasciata sedurre dai potenti, ed era da considerarsi roba loro, ormai. E nessuno aveva voglia di mettersi contro certa gente. Ma fu quanto quanto le chiesero di prostituirsi che capì di aver passato il segno. Tante belle parole per essere trattata alla stregua di una puttana! Disgustata dalla situazione e nauseata da tutti, decise di andarsene. Che senso aveva restare, se non c'era nessuno intenzionato a muovere un dito in suo aiuto? Così fuggì e da allora, in quel paese, nessuno la vide più.

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sabato 3 luglio 2010

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Nel limbo

E’ sabato. Come in un qualsiasi altro sabato di inizio estate tutto scorre uguale. Caldo infernale. Pochi turisti. Città da tempo trasformata in un eterno cantiere dalla speculazione edilizia. Traffico. Gente allegra perché oggi non lavora. Gente che lavora, ma comunque allegra perché è sabato. Ragazzi o famiglie intere che vanno al mare. Centri commerciali affollati. Tutto come al solito. Ad essere insolito sono io. Oddio, non che sia cominciata oggi, mi ci sento già da un po’.
Ho trenta anni. Beh, non proprio, ma quasi.

La mia vita è sempre stata un caos, e da questo ne ho sempre tratto motivo d’orgoglio.
La mia casa, una vergogna per qualsiasi essere umano. Piatti scrostati dove le formiche girano allegramente anche d’inverno. Lenzuola mai cambiate. Mutande in giro. Calzini a terra. Water più simile ad una fogna che ad un cesso., per non parlare dell’odore. Pila della biancheria sporca, una montagna maleodorante. Vestiti puliti e stirati, tre o quattro in tutto. Polvere dappertutto. Due gatti che vivono con me, abituati a tutto questo. Fino a oggi.
Oggi casa mia è insolitamente pulita. Butto ancora i calzini a terra la sera, ma li raccolgo la mattina presto per metterli nel cesto della biancheria. Niente mutande sporche in giro, eppure non era raro persino trovarle sulla tovaglia del tavolo da pranzo. I mobili, lucidi. I vetri di casa, splendidi. Il pavimento ha anche la cera. La cucina è in condizioni perfette. Il bagno profuma.

Non ho assunto una colf. Poco per volta, stranamente ed inconsciamente, sono diventato più ordinato. Stamattina mi sono svegliato con l’intenzione di rimettere la casa a nuovo, ma lo era già. Mancava giusto un po’ di spesa. Ho fatto anche quella.
Qualcuno potrebbe anche illudersi che io stia maturando, magari pensando qualcosa del tipo “finalmente…ha trenta anni…era pure ora!”, ma so che non è così.
E’ vero, ho trenta anni, non sono più un ragazzino, ed in qualche modo la vita mi impone scelte responsabili. Ma so che la maturità non c’entra. Non l’ho ancora raggiunta, e non so se accadrà mai.

Mi sento piuttosto in una specie di limbo. Lontano dagli atteggiamenti dei ventenni, dal loro modo di pensare, di condurre la vita, di fregarsene di tutto, ma anche lontano da, come si usa dire “mettere la testa a posto”, lontano dalle scelte impegnative, lontano dal sapere cosa voglio fare di questa mia esistenza, lontano dal voler sistemare tutto ciò che non quadra.

Ho scritto questo pezzo 5 anni fa, all soglie dei 30 anni. Nel frattempo la mia vita ha subito qualche cambiamento. Non ho più le due gatte, e condivido l'appartamento con una donna. Certi eccessi non li raggiungo più, ma solo perché sarebbero una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Le gatte non se ne lamentavano, una donna lo farebbe. Ma tutto questo non c'entra. Il problema è che, nonostante siano passati 5 anni, io continuo a sentirmi così, in quella specie di limbo, tra i non più ragazzini e i non ancora maturi. E non riesco a trovare l'uscita.

Una porta aperta sull'infinito

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martedì 29 giugno 2010

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Un libro rosa

libri rosa
Una volta mi hanno chiesto se volevo provare a scrivere libri rosa, lunghi 100 cartelle, come gli Harmony. "Leggine un paio, così capisci che tipo di storie vogliamo". A leggere gli Harmony non ce l'ho fatta, ma almeno il romanzo volevo provarci davvero, a scriverlo, e l'avevo anche iniziato ma dopo neanche venti pagine mi sono fermato e da allora ho lasciato perdere. Non sono abbastanza bravo né professionale per una cosa del genere. Ma come dice qualcuno..."Non gettare le cose che scrivi! Ciò che non funziona sulla carta, puoi sempre trasformarlo in un post".

Un libro rosa.
Come cazzo si scrive un libro rosa?!
Non prendertela con me, appassionata lettrice di questa collana se, tra le mie pagine, non troverai nulla che ti faccia sognare, vivere di quelle intense emozioni che la vita di tutti i giorni ti nega o illuderti che, almeno nei libri, l’amore vero ci sia e trionfi. Ed è chiaro che, se questo oggettino che ti ritrovi tra le mani non solo ti deluderà ma ti sembrerà altresì scritto da cani da un dilettante idiota, maschilista e misogino la colpa, evidentemente, è solo tua. Si, proprio tua, non far finta di non aver capito! No, non voglio dire che tu sia ignorante ed incapace di capire la mia arte che è, effettivamente, quella di un idiota, maschilista e misogino scrittore da quattro soldi. E’ colpa tua, in quanto tu, proprio tu, mi hai reso così! Tu, che te ne stai spaparanzata sul divano a leggere le mie sciocchezze, o sdraiata comoda sul letto, dopo aver acceso lo stereo e messo un sottofondo musicale a te gradito, o sotto il sole cocente d’estate a mostrare le chiappe, oppure mentre fai la tipa colta, quella che legge un libro, sia pure sentimentale quale vorresti che il mio fosse, mentre sul tram o sul treno sei diretta al lavoro o chissà dove. Beh, lasciami spiegare perché, se questa storia ti deluderà, sarà tutta colpa tua. Del resto, io e te, ci conosciamo da tempo. Lo so che non mi hai mai notato, lurida vigliacca! E che questa è la prima volta che ti ritrovi a leggere una mia storia e già te ne stai pentendo, eppure siamo appena alla prima pagina. Io intendo dire che noi, ci siamo incontrati, e spesso, nella realtà. Tu sei quella che mi ha rovinato la vita.



Hai cominciato a rovinarmela appena compiuti i quindici anni, cioè da quando io ho cominciato a provarci con te e tu, puntualmente, a negarmela. Ti sei accorta di tutti i miei amici, tranne di me. Sei stata coi miei peggiori nemici e mi hai puntualmente ignorato. “Potevi insistere, fare di più, fare di meglio, farti notare” starai certo pensando. L’avrei anche fatto, se tu, donna, non avessi puntualmente cambiato strada tutte le volte che il destino metteva me sul tuo cammino. Così, ovvio, io non so nulla di te. I tuoi gusti mi sono sconosciuti, i tuoi pensieri del tutto estranei, le tue aspettative un punto interrogativo senza risposta. Per farla breve, io non so nulla di donne. Motivo per cui questo libro non ti farà né divertire né sognare. Ed allora perché l’hai scritto? Ti chiederai tu. Puoi immaginarlo. Un disperato bisogno di soldi. Ed un editore che, anziché sforzarsi di diffondere libri di qualità, preferisce concentrare le sue energie su una collana di libri rosa, quelli che piacciono a te, insomma, perché questi rendono di più. Se devo essere sincero avrei preferito che i nostri destini non si fossero mai incrociati su queste pagine, in un libro che a me non piace scrivere ed a te non divertirà leggere. Io, in tutta onestà, avrei preferito sbatterti. Ma tanto lo so già come sarebbe finita: con te che mi dici “No, dai, oggi ho mal di testa, sarà per un’altra volta”, quindi indignata, mi avresti pregata di tenere le mani a posto, intimandomi di smetterla “che sei peggio di un polipo!”. Ed ecco allora perché queste pagine, per brutte che siano, te le meriti tutte ed è giusto che tu vi arriva fino in fondo, come pegno da pagare per le tue colpe e per non avermela mai data.

“Beh, non c’è che, dire, come prefazione è senz’altro originale” si pronunciò Francesco. “Certo, non so quanto verrà apprezzata da una lettrice, dal momento che le dai della lurida vigliacca, scarichi su di lei le tue colpe di scrittore fallito e confessi persino di volertela scopare! Senza contare le critiche all’editore, che accusi di dedicarsi, per una mera questione di soldi, a collane mediocri. Voglio dire, non so dove ti porterà tutto questo, immagino comunque piuttosto lontano dalla tua casa editrice, però, come dirti? Apprezzo la tua sincerità”.

“Grazie” risposi a Francesco, il cui incoraggiamento mi stava davvero risollevando il morale. “Senti” gli spiegai “questo lavoro non fa per me. Io non me ne intendo di donne. Non so descriverle, non so cosa pensano, non so cosa vogliano e se è per questo neanche cosa combinano quando sono tra di loro!”

“Non sei mica l’unico! Quale uomo ha mai capito una donna? E’ qui che sbagli! Non è questo il tuo problema, Emilio!"

“Ah, no? E quale sarebbe il mio problema, allora?” chiesi io, curioso di sentire la sua risposta.

“Scrivere una stramaledetta storia d’amore. Non devi fare nient’altro. Prendi un tizio, falle incontrare una, falli trombare e vivere felici. Amen! Che ci vorrà mai?” rispose Francesco che, come al solito, faceva tutto facile.

“Scrivila tu genio, dal momento che sei così bravo!” risposi seccato.
“Dai, non te la prendere! Io dico che puoi farcela”

“Tu non ti rendi conto dei problemi pratici. Mi hanno chiesto di scrivere storie per femmine adulte. Destinate a donne, che parlino di donne, che descrivono le donne. Pensi tu che io sappia descrivere una donna che si trucchi? O che si vesta? O che io sappia la differenza tra un tailleur ed un abito da sera? Questo lavoro non fa per me!”

“Certo che sei messo male!” constata il mio amico.
“L’hai detto! Perciò ho intenzione di rinunciare alla grande impresa: scrivere storie d’amore non fa per me”
“No, no, no amico. Dì piuttosto che scrivere non fa per te”

“Non è vero” mi giustificai risentito “credo che riuscirei a produrre qualcosa di buono in un settore a me più congeniale”
“Tu non riusciresti a produrre davvero un bel niente! Perché cosa credi, che in un settore a te più congeniale le donne non esistano? Se elimini le donne dai tuoi libri, sai cosa ti restano? I romanzi per omosessuali, forse manco quelli”.

Colpito ed affondato. I miei sogni da scrittore in erba erano andati a sbattere contro la concretezza di Francesco. Sarebbe stato meglio dedicarmi più assiduamente alla mia attività di addetto alle pulizie, lavoro con cui sbarcavo il lunario, che non perdermi dietro ai miei stupidi sogni di gloria. Non ero capace di scrivere una stupida e lurida storia d’amore, figuriamoci se mi sarebbero riusciti romanzi più impegnativi. Sconsolato, stavo per tornarmene a casa, quando Francesco, come pentitosi di avermi aperto gli occhi, cercò di consolarmi, mettendomi una mano sulla spalla: “Dai, non abbatterti!” mi disse.

“Lasciami, ho voglia di andare a casa” risposi.
“Facciamoci un giro al pub, prima. Ti offro qualcosa da bere!” fece lui.

“Non ne ho molta voglia”.
“E dai! Devi imparare a descrivere le ragazze, no? li ne troveremo parecchie”.

“Cerco. Peccato che si terranno a distanza di sicurezza da un tipo come me”.
“Ma no” sorrise Francesco “devi solo imparare a scioglierti!”

Immagino che a questo punto uno scrittore decente, quale io non sono, saprebbe descrivere il pub, con le sue panche di legno scuro, i suoi tavoli pieni di scritti e firme incise col coltello, i suoi poster di cantanti più o meno famosi, i quadri o i simboli delle varie marche appese dappertutto, le bottiglie di liquori sul ripiano dietro il bancone, la calca di gente che si affollava al bar nella disperata impresa di farsi servire da bere mentre altri sfigati cercavano invano un posto a sedere, senza contare le numerose persone che, all’uscita, si intossicavano i polmoni fumando sigarette. Ma, dal momento che avete a che fare con me, cioè con un tipo che, in quanto a descrizioni, lascia alquanto a desiderare, vi dovrete accontentare del fatto che era un tipico pub in stile irlandese, battezzato, senza troppa fantasia, Jim Morrison Irish Pub. Non avevamo fatto altro che pochi passi quando Francesco si fiondò verso due belle sventole. Pardon, due graziose fanciulle che stavano tranquillamente parlando dei fatti loro in compagnia di due birre medie, le cui espressioni, quelle delle fanciulle intendo, mica delle birre, vedendoci arrivare, non furono certo di gioia.

“C’è posto qui?” chiese Francesco con l’indifferenza tipica del ruffiano che era.
“Veramente ci siamo noi!” rispose una delle due, non senza una punta di acredine, mentre l’altra guardava sia noi sia la sua amica senza dire una parola ma con l’espressione di chi sta pensando “speriamo che se ne vadano”. Toh, e poi mi dicono che non capisco le donne! Sto imparando a leggerle nel pensiero invece.
All’idea, mi venne da sorridere.

“C’è spazio per tutti, mi sembra” disse Francesco, accingendosi a prendere una sedia.
“Che hai da ridere tu?” mi rimproverò la tipa, ancora più incazzata dal fatto che, anziché andarcene, ci stavamo sedendo.
“Ha trovato l’ispirazione nei tuoi occhi” rispose Francesco, convinto con questa idiozia spacciata per complimento di smorzare i toni ostile delle ragazze.

“Sai dove te la puoi mettere l’ispirazione?” fece quella a me.
“Ehi! Io non ho detto nulla!” reclamai.
“Dico davvero” continuò Francesco “è uno scrittore”.
“Ah, sì? E che tipo di libri scrive?” domandò la ragazza, incuriosita. Francesco mi diede un colpo col gomito, come se volesse l’approvazione per il suo approccio.
“Narrativa rosa” rispose il mio amico.
“Davvero? Non ha la faccia di uno che scrive storie d’amore. Anzi, se è per questo non ha proprio la faccia di uno scrittore” disse quella.

“Perché, che faccia ho?” chiesi allora io, offeso.
“Di uno…” si interruppe ed alzò le sopraciglia “…sfigato?”
“L’apparenza inganna” riprese Francesco.
“Ma grazie!” esclamai io, infastidito dai commenti di tutti e due. “Dai, stavo scherzando” si giustificò lei sorridendo.
“Il ragazzo è timido” riprese Francesco “deve credere di più in sé stesso, mettersi d’impegno e scrivere, ma ha talento”
“Mi sembravi di tutt’altro parere poco fa” considerai.
“Ti stavo solo spronando”

“Allora” domandarono le ragazze “quanti libri hai pubblicato finora?”
“Neanche uno” ammisi io. Risate generale delle due ragazze. Occhiata severa di Francesco. Il quale, avendo fatto del mio presunto talento il perno del discorso continuò su quel tono: “Gli editori stanno ancora esaminando i suoi lavori. Non si sono ancora pronunciati con proposte di contratto ma l’impressione è che siano rimasti favorevolmente colpiti”.

“Francesco, smettila, per favore” lo scongiurai io, che non né potevo proprio più delle sue idiozie, preferendo a questo punto raccontare tutta la verità. Le due ragazze, di cui ancora ignoravamo il nome, vennero così a conoscenza di tutte le mie frustrazioni, di come i miei elaborati venissero puntualmente respinti al mittente e del fatto che la mia unica chance di fare questo mestiere consistesse nel diventare autore di libri rosa, in quanto una casa editrice era pronta ad investire su questo genere per la sua nuova collana ed aveva bisogno di storie.


“Non fa per te” risposero le ragazze “tu non capisci niente di donne”.
“Proprio quello che gli ho detto anch’io” concordò Francesco. “Zitto tu, che cambi idea ogni cinque minuti!” replicai secco. “Sentiamo, voi due: perché non capirei nulla di donne?”
“Perché sei stato un’ora a parlarci di te, della tua vita e di tutti i tuoi problemi. E neanche sai come ci chiamiamo! Tipico degli uomini “

“Il ragazzo è proprio di questo che ha bisogno” Francesco si insinuò nel discorso “capire di più la vostra psiche, i vostri sentimenti, insomma conoscervi”.
“Di tutte le scuse usate per cuccare questa è la più stupida che abbia mai sentito” sentenziò la più loquace, e sincera, delle due.
“Vedi, ci sono due possibilità allora: o noi due siamo così idioti da usare scuse ridicole oppure è vera” replicò Francesco.
“Senz’altro la prima” rispose la ragazza “ed ora se volete scusarmi, ma è arrivato il mio ragazzo” si alzò e fece per andarsene.

“Ehi, mi lasci sola?” domando l’altra.
“Ci siamo noi a farti compagnia” ne approfittò subito Francesco.
“Hai sentito? Ci solo loro”.

“Davvero magnifico” commentò la malcapitata. Prima che l’altra si allontanasse a me venne una domanda da farle, tanto per essere sicuro, nel caso l’avessi rivista, con chi mi trovato di fronte: “Scusa, ma tu com’è che ti chiami?”
“Claudia” quindi si girò ed andò via.

Mentre Claudia si allontanava mi chiesi come l’avrei descritta se avessi voluto renderla protagonista dei miei libri. Bionda, ok, quello era facile. E poi? Provocante, sensuale, intrigante…mah. Nessuna definizione era adatta in realtà. Sarebbe stato tutto più facile se, anziché in un libro, avrei raccontato di Claudia ai miei amici: bionda, zinne da sballo e faccia da porca. Tutti avrebbero capito, nessuno mi avrebbe chiesto altro ed io avrei proseguito tranquillamente, senza interruzioni. Ad ogni modo, eravamo rimasti in tre. In pratica, uno di noi era di troppo. Tuttavia io non ero affatto intenzionato ad andarmene. Purtroppo neanche Francesco.

Mi dissi che io avevo più scuse di lui per restare. Naturalmente, come Francesco, anch’io volevo soprattutto portarmela a letto tuttavia Ilaria mi sarebbe stata utile come soggetto per i miei racconti. Sarebbe stato stupido però restare a fare il peso morto così decisi che, se le donne si annoiano a sentire gli uomini che parlano di se stessi, magari avranno piacere a descrivere sé stesse. Così esortai Ilaria a parlarmi di lei. “Cosa vuoi sapere?” mi chiese.
“Tutto. Lavoro, passioni, hobby…tutto quello che ti riguarda”

“Vediamo…studio lingue, ma per mantenermi lavoro come commessa, faccio volontariato per la Croce Rossa la domenica, vado in palestra perché mi piace mantenermi in forma, in piscina due volte la settimana e sono anche iscritta ad un corso di recitazione teatrale”


“Ed il tempo di respirare dove lo trovi?” chiediamo allora noi. Lei sorride. “Se ti sai organizzare riesci a fare tutto. Non è così complicato. Basta sapersi gestire” Non so se i suoi discorsi provocassero in me più rabbia od invidia ma preferii cambiare argomento. “Che musica ascolti?” domandai.
“Mi piace molto Gigi D’Alessio”. Meno male, aveva dei difetti ed anche gravi.

Più parlavamo con Ilaria più mi rendevo conto che valesse davvero la pena approfondire la sua conoscenza, in questo Francesco non aveva sbagliato. Una ragazza con così tanti interessi mi sarebbe stata davvero utile per entrare nel…ehm…fantastico mondo delle donne. Se poi fossimo finiti anche a letto, beh, sarebbe accaduto solo perché io sono il tipo che lavora fino a tardi ed approfondisce anche i dettagli.


Con scrupolo e professionalità. Del resto Ilaria, da cotanto interesse, ci avrebbe senz’altro guadagnato. A me interessava tutto di lei, dal suo modo di pensare a quello di vestire, avrei notato ogni più piccola sfumatura nei suoi atteggiamenti e se mi fosse stato possibile, avrei cercato di prevenire ogni suo desiderio. Insomma mi sarei auto-proclamato suo angelo custode. Solo che, mentre io ero pieno di buoni propositi sul suo conto, Ilaria stava civettando e facendo gli occhi dolci a Francesco. Grandissima troia!



Ed io ne avevo riposto tutta la mia fiducia su di lei, tanto da volerla prendere come musa ispiratrice per creare le eroine dei miei romanzi. Tutti i miei progetti stavano andando in fumo per via di quel cascamorto di Francesco, una serpe velenosa che si spacciava come mio migliore amico.

“Si è fatto tardi, devo andare a casa” disse Ilaria, rompendo il flusso dei miei pensieri. Nel pub la maggior parte degli avventori erano andati via, solo quattro o cinque tavoli erano ancora occupati. Guardai l’orologio: segnava le due.

“D’accordo. Ti accompagno, allora” ne approfittò subito Francesco.

Qualcuno potrebbe pensare che la mia fosse gelosia, in realtà io volevo solo impedire che quel lurido verme mi soffiasse da sotto il naso quella che ormai avevo eletta come mia protetta. Dovevo assolutamente impedirle di divenire preda del primo dongiovanni che le ronzasse intorno. “Vi accompagno” dissi.

“Ma se abiti all’angolo!” mi fece notare Francesco.
“Appunto” cercai di prendere tempo “sono a piedi, ma vorrei passare a prendere le sigarette prima di rincasare. Vengo con voi, così tu puoi accompagnarmi”.
“Hai sempre odiato il fumo!”.
“Sono nervoso, ok? Questa faccenda del romanzo mi sta facendo impazzire. Così pensavo di cominciare oggi!”
“Se è solo per provare” disse Ilaria “posso offrirtene una”.
“Sono molto nervoso. Una non mi basta!” sbuffai.

Francesco si avvicinò, mi prese sottobraccio e mi invito a seguirlo. Ci anfanammo dalla ragazza, che ci guardava perplessa. “Senti, Emilio, si può sapere che cazzo vuoi? Mi serve campo libero, ho intenzione di provarci con Ilaria, stasera”. “Lascia perdere quella non è per te!” sentenziai io.

“E chi lo dice? E poi, scusa, io voglio solo portarmela a letto”. “Ma l’hai sentita, fa volontariato, questo e quest’altro…è una ragazza seria. Non ha tempo per le avventure” tentai di persuaderlo.
“Lasciami fare, e vedrai se non la convinco” disse sicuro Francesco. Ma per quanto breve, la nostra discussione era durata anche troppo. Ilaria se n’era già andata.
“Mi dispiace” mentii a Francesco.
“Guastafeste” rispose lui mentre, uscendo dal bar, ci avviammo ognuno verso la propria casa.

Quando mi risvegliai il giorno seguente, prima di andare al lavoro, mi resi conto di un piccolo particolare: avevo impedito a Francesco di accompagnare a casa Ilaria e quindi non c’era più modo di rintracciarla. Non avevamo il suo numero e benché ci avesse raccontato i suoi mille interessi non ci aveva però confidato dove questi avessero luogo. La mia unica carta da giocare era diventare un assiduo frequentatore dell’Irish pub e sperare di rincontrarla.

Ero sempre immerso in questo tipo di pensieri quando squillo il telefono. Era l’editore. “Allora, Emilio, hai cominciato a buttar giù qualcosa?” mi chiese.
“Ho delle idee per una storia. Ma devo ancora lavorarci ”.
“Non vorrei metterti fretta, ma devo. Ho bisogno di un po’ di racconti pronti per fine mese, e, se pensi di non farcela, dovrò rivolgermi a qualcun altro”.
“Per fine mese, ok” risposi sicuro, quando in realtà, di pronto, avevo solo poche pagine e tutte da buttare.

Andai al lavoro e la sera, mi recai al pub, ma di Ilaria non c’era traccia. E non la incontrai neanche nei giorni seguenti. Mi stavo quasi dimenticando di lei e volentieri avrei spostato la mia attenzione su qualsiasi altra donna, peccato che io fossi praticamente incapace di agganciarne una. Per questo andavo al pub solo con Francesco, che, al contrario di me, con le ragazze ci sapeva fare. Solo che Francesco, forse ancora irritato da quel che era successo quella sera, non si faceva più vedere. La mia solitudine mi deprimeva e non riuscivo neanche a scrivere. Eppure mancavano solo venti giorni alla consegna del romanzo. Stavo tentando di affogare le mie frustrazioni in un bel boccale di birra quando riconobbi Claudia.

“Ma che piacere rivederti!” la salutai con entusiasmo. Entusiasmo eccessivo a giudicare dall’occhiataccia che mi diede il suo ragazzo. “Ed Ilaria dov’è?” mi affrettai a chiedere. Claudia risposa incerta al mio saluto quasi come se non si ricordasse affatto chi ero. Ma sentendo nominare Ilaria si convinse che in qualche modo dovevamo esserci conosciuti ed anche se con esitazione rispose alla domanda.

“Eh, non la si vede in giro da un bel po’ di giorni! Tra l’Università ed il corso di recitazione è impegnatissima. Considera poi che domani c’è la prima”. Il corso di recitazione! Ecco dov’era finita.
“Davvero?” chiesi interessato “Sai dove? Mi piacerebbe assistervi”. “Al Gran Teatro Dannunziano. Puoi venirci con noi, se ti va”. Mi aveva invitato ad andare con loro eppure ancora non aveva inquadrato bene chi fossi. L’illuminazione le arrivò all’improvviso: “Ehi, ora mi ricordo di te! Tu sei quello con l’amico carino!”.

Beh, ammetto di non essere il tipo che rimane impresso nella memoria delle persone, ma certo che l’idea di essere ricordato per l’amico carino è piuttosto frustante. “Perché non porti anche lui? A Ilaria farebbe molto piacere senz’altro”. “Vedremo” le risposi io, che al contrario non avevo nessuna intenzione di invitarlo “anche lui è un tipo piuttosto impegnato. Non so se riuscirà a venire”.

Claudia mi diede il suo numero di telefono in modo da poterla contattare per l’indomani, in caso avessi avuto dei problemi. Ma nessun contrattempo mi avrebbe impedito di assistere al dramma in scena al Gran Teatro dell’indomani, visto il mio particolare interesse per una delle interpreti. Mi ero anche deciso a comprare un bel mazzo di fiori, convinto che mi avrebbero fatto fare una buona figura con Ilaria. Quello che odio, in questi casi, sono i sorrisi beffardi ma inevitabili dei fiorai quando entri nei loro negozi, già spaesato dall’incredibile varietà di piante e colori con cui si presentano oltre che spaventato dai prezzi.

“Desidera, signore?” mi chiese il commerciante, mentre io stavo ancora scegliendo. Volendo andare sul sicuro puntai sulle rose, indeciso però su quante prenderne. Non volevo esagerare ma neanche passare per tirchio. E soprattutto non volevo uscire dal negozio con il mazzo di rose in mano, altrimenti il sorriso beffardo del fioraio si sarebbe esteso a tutti coloro che avrei incrociato per strada. Così optai per un mazzo da sette, che, con un po’ di fatica, sarebbe riuscito ad entrare nella borsa da lavoro. Il fioraio vedendomi rovinare in trenta secondi quel mazzo che lui aveva preparato con così tanta cura mi guardò perplesso ma non disse una parola mentre io, soddisfatto, uscivo dal negozio.
L’indomani telefonai a Claudia e le dissi che ci saremmo visti direttamente davanti l’ingresso del teatro, venti minuti prima dello spettacolo. La sera scoprii che era stato invitato anche Francesco. Aveva in mano un enorme mazzo di rosse, molto più grande e più bello del mio. Il quale, tra l’altro, stritolato nella borsa da lavoro si era completamente sfaldato, le rose si erano rovinate ed erano diventate un’accozzaglia di petali. Ne era rimasta integra una sola, peccato però che puzzasse di sottaceti sott’olio, dal momento nella borsa, oltre che i fiori, avevo messo il panino per la pausa pranzo.

 “Belli, eh?” chiese Francesco, che portava con fierezza il suo mazzo di rose.
“Per chi sono?” chiesi, temendo la risposta.
“Per Ilaria, naturalmente” rispose lui. “Non ti sembra eccessivo per una persona che hai visto una volta sola?” domandai allora. “Una volta sola? Se ci frequentiamo tutte le sere!”. Brutto colpo, questo! Eppure al pub non avevo mai visto né lui né Ilaria. “Davvero? Pensavo non venisse più al pub perché fosse impegnata con le recite” dissi.
“Infatti ha pochissimo tempo” convenne Francesco “ma io non mi do mai per vinto quando parto all’assalto di una bella pupa. Sono impazzito i primi giorni, per trovare il negozio nel quale lavora, ma ne è valsa la pena!”.

Non ci avevo pensato! Ilaria ci aveva confidato di lavorare come commessa in un negozio d’abbigliamento, ma io non avevo fatto molto caso ai suoi discorsi, così cercando di rincontrarla la cosa mi sfuggì di mente. Come la Croce Rossa, la palestra, la piscina…se avessi ascoltato con attenzione, mi sarei ricordato meglio i luoghi che frequentava. Ero il solito fesso. Comunque ciò mi servì da lezione: se volevo conquistare una donna forse avrei quantomeno dovuto ascoltare quel che diceva. Probabilmente, questo avrebbe aumentato le mie chance.

Ci sedemmo in seconda fila pronti a goderci il dramma. Andava in scena Il Gabbiano opera teatrale scritta da Anton Cechov, scrittore russo famosissimo ma a me sconosciuto. Ilaria vi interpretava la parte di Nina, una giovane attrice innamorata di un tal Konstantin Treplëv, commediografo da quattro soldi. Insomma uno scrittore, anche se di teatro, era innamorato di un attrice e scriveva testi che avessero lei come protagonista assoluta.

Mi ricordava qualcosa tutto questo e mi fece piacere scoprire che l’amore di Treplëv per Nina fosse corrisposto. Tra l’altro l’analogia tra la recita sul palcoscenico e la mia vita mi fece venire in mente una cosa: che bisogno avevo, in fondo, di inventarmi storie? Avrei potuto copiarle. Avevo miliardi di storie da cui attingere, l’intera letteratura dei cinque continenti.. Certo, potevano esserci problemi di copyright ma solo in caso m’ispirassi a storie recenti. Non avrei avuto problemi con narratori morti da secoli.

L’unico inconveniente era che in quel caso avrei dovuto attualizzare le storie. Già mi vedevo Renzo e Lucia braccati non più dai bravi ma coinvolti in storie di mafia. Oppure avrei potuto puntare su storie sconosciute, autori sudamericani poco noti nel nostro continente, riadattandone le vicende. Insomma, perché avrei dovuto fare tanta fatica quanto né bastava molto meno per consegnare qualcosa di valido all’editore?

La mia geniale intuizione mi stava mettendo di buon umore così, tra la fine del secondo atto e l’inizio del terzo, cominciai a pensare a come risolvere l’altro problema che mi stava assillando in quei giorni: conquistare Ilaria. Non potevo permettere a Francesco di continuare a guadagnare terreno in quel campo. Bisognava fare qualcosa. Peccato che lui si fosse presentato con uno sgargiante mazzo di rose rosse ed a me ne fosse rimasta una sola, che tra l’altro, anziché profumare, puzzava di tonno sott’olio. Eppure chissà che anche quella non tornasse utile.

Alla fine del terzo atto mi allontanai con la scusa di andare al bagno. In realtà mi misi in cerca dei camerini. Le porte però erano chiuse. Senza perdermi d’animo piazzai la rosa a reggersi su una maniglia, aggiungendovi un biglietto. Quindi tornai per l’ultimo atto, dove si scopre che Nina si era rovinata la vita per inseguire uno scrittore più famoso di Treplëv mentre costui ha raggiunto sì il successo ma avendo perso l’amore di Nina finisce per suicidarsi. Considerato che almeno nel primo atto mi ero immedesimato in lui, devo dire che il finale non mi aveva affatto entusiasmato. Comunque ci fu lunghi applausi al termine del dramma, compresi i miei.

 Claudia ci invitò a raggiungere Ilaria nei camerini, in modo che Francesco potesse consegnare il suo mazzo di fiori ed io mi aggiunsi volentieri per verificare la reazione di Ilaria alla mia umile rosa maleodorante. La trovammo intenta a leggere il mio biglietto. E, fortunatamente, sorrideva.

Questa rosa ha perso il suo profumo così come la mia vita, lontano da te, ha perso sapore. Sorridi e la rosa tornerà a profumare ed il mio cuore a gioire.

“Ma sei piena di corteggiatori!” esclamò Claudia. “Tutto merito mio, che ti ho lasciato campo libero mettendomi con Vincenzo” e mentre canzonava Ilaria, diede un bacetto sulla guancia del suo ragazzo. “Del resto mi sono già presa il meglio che c’era sulla piazza”.

“Chissà chi l’ha scritto?” si chiese Ilaria dubbiosa.
“Un bugiardo, di sicuro” rispose bruscamente Francesco “visto che quella cosa continua a puzzare di…cosa saranno? Sottaceti?” e mentre parlava consegnò il suo mazzo “Ecco qualcosa di più consono alla tua bellezza”.

“Devo farti i miei complimenti!” tentai di far cambiare discorso a tutti “un’interpretazione davvero superba. Cechov non è affatto facile da rappresentare in scena, e devo dire che ogni attore ha dato il meglio di sé ma tu…tu eri davvero una spanna sopra tutti. Si vede che ami il teatro”.
“Davvero ti sono piaciuta?” mi chiese Ilaria, arrossita per i complimenti. “E me lo chiedi? Mi hai persino fornito l’ispirazione per il mio libro”. “Ma dai!” fece lei.

“Guarda che dico davvero! Mi è venuta in mente la storia. Uno scrittore di mezza tacca ama una bellissima attrice di teatro, solo che lei finisce per invaghirsi di un altro, che seguirà e con il quale finire per soffrire due lunghi anni…”
“Ma questo è plagio!” esclama inorridito Francesco.

“Ma quale plagio!” insisto io “la mia è una storia a lieto fine. Quando lei torna, lui mica si spara!E poi sarebbe ambientato ai giorni nostri”. “Il teatro è sempre stato ispirazione di vita!” sentenzia Ilaria. “Infatti. Devo prendere qualche appunto per il romanzo. Ti dispiace se mi faccio vivo alle prove, di tanto in tanto?” chiedo io.
“Certo che no! Anzi, mi farebbe piacere” mi rassicura lei.

Francesco mi guardò accigliato e mi indicò di andare con lui. Lo seguii. “Insomma, si può sapere cosa cazzo stai combinando?”. “Devo scrivere un libro, ricordi? E devo farlo in fretta”. “Tu non me la racconti giusta” risponde secco lui. Francesco era il mio migliore amico e non era stupido. Non so cosa mi spingesse verso una ragazza che sì, mi piaceva, ma conoscevo ancora troppo poco per poter dire che l’amavo. E che rischiava di farmi perdere un’amicizia di lunga data. Forse era spirito di competizione. Guardai Francesco con la stessa ostilità con cui lui guardava me. La guerra era stata tacitamente dichiarata e non erano esclusi i colpi bassi.

Se sei ancora qui, o lettrice, e soprattutto se hai ancora intenzione di continuare a leggere, è chiaro sei masochista. Cosa ti sta offrendo questa storia che davvero ti interessi? Nulla, immagino. Del resto, sulle donne finora ho imparato ben poco. Solo che dovrei imparare ad ascoltarle ma la tua voce arriverebbe troppo tardi perché tu possa darmi consigli. Mi è stato detto che, se voglio scrivere storie d’amore, dovrei leggere quelle degli altri, per capirne gli ingredienti. Ma io, ammetto, non l’ho fatto. Ci ho provato, ne ho preso in mano un paio ma il frontespizio parlava di passioni, intrighi, soldi, tradimenti, segreti e triangoli. Non ti basta già Beatiful per tutto questo?I titoli, poi, sono orripilanti. Roba come “Bruciante passione”, “Desiderio”, “Sposerò David” (e chi se ne frega, mi verrebbe da dire!). Eppure, quelle storie e quei titoli rappresentano la tua voce, quello che chiedi ti venga offerto. Ed io ho promesso di imparare ad ascoltarti. Mi farà piacere, carissima, se mi seguirai ancora, ma ricordati che sono un uomo e, di conseguenza, mi comporto come un uomo. Ciò significa che, se anche imparo ad ascoltarti, questo non vuol dire che io ti assecondi…

Così iniziai a frequentare Ilaria. La andavo a trovare durante le prove, chiacchieravo con lei quando era in pausa e le facevo un’infinita di domande sui suoi gusti personali. Le dissi che l’avrei fatta diventare un’eroina dei romanzi d’amore. “Ma che onore!” rispose lei, in tono sarcastico.

“E mi raccomando, dammi dei partner belli, coraggiosi, forti, ricchi e perché no…anche bravi a letto!”
“Beh, sai…voglio allontanarmi dalle consuete abitudini dei romanzi d’amore. Nei miei libri la protagonista si innamorerà sempre di gente sfigata: guerci, mutilati, freak, impotenti, poveri in canna…” “Ma dai!”

“Si, ma non ti preoccupare. L’editore pretende l’happy end. Ciò vuol dire che il loro sarà comunque un amore felice!”

“E’ poco realistico!” “Ah, invece il milionario che incontra la mendicante e se ne innamora, quella sì, che è una storia credibile…” “Tu non capisci. Noi donne vogliamo poterci identificare in certe storie. Per questo hanno tanto successo. In modo da poter pensare: però, sarebbe bello se accadesse. Se lei ama uno storpio, questi deve guarire alla fine del romanzo, sennò manca il processo di identificazione!”
“Lui resta così per tutta la vita, ma lei lo ama troppo per separarsene. Però, sarebbe bello se accadesse…” dissi io.



[...]


Era una incantevole sera di giugno, c’era la luna piena e un sottile filo di brezza; Ilaria ed io eravamo seduti su degli scogli, in un punto in cui il mare si era ritirato e che quindi era possibile raggiungere senza bagnarsi. Eravamo lì, abbracciati e zitti, io la cingevo con un braccio mentre lei appoggiava la testa alla mia spalla. Vestiva un completo di seta nera con gonna in tweed che le scopriva le gambe di almeno una ventina di centimetri oltre le ginocchia, una cinta color oro formata da piccolissimi anelli incatenati tra loro, i capelli, lunghissimi e soffici, le scendevano anche davanti, coprendo il seno, portava, dei piccoli orecchini a forma di gemma, che riflettevano la luce della luna. Ma più di quelle pietre, splendevano i suoi occhi. Eppure, sembrava triste.

“Mi sto innamorando” disse. “Meno male!” risposi. “Figuriamoci come saresti se ti avessero inflitta la sedia elettrica!” “Anche l’amore è una condanna” disse lei, sospirando malinconica. “A me il tizio di cui ti sei innamorata già mi sta sulle palle. Se ti fa sentire così, dovresti fare di tutto per evitarlo” “E’ quello che penso anch’io” annuì. “Tanto più che è inaffidabile, irresponsabile, incapace, bugiardo, falso, volgare, egoista ed immaturo”. “Beh, dai, tu dici così di tutti gli uomini. Sono le stesse cose che ripeti spesso anche a me”. “Infatti sei tu”.

Ci rimasi di stucco. Avrei dovuto esserne felice, perché Ilaria mi piaceva davvero ma non mi andava giù il fatto che avesse una così pessima opinione sul mio conto. E neanche sopportavo il fatto che lei considerasse una condanna a morte l’amore per me, al punto da avere una faccia da funerale. Dopo quel breve dialogo, tornammo in silenzio, a guardare le onde del mare, mentre nel mio animo si affollavano sentimenti contrastanti.

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lunedì 5 aprile 2010

5

Dove fuggono i sogni

Tramonto 1 Hai nutrito sogni

per il mondo intero
grandi come il cielo
azzurri come il mare

e li hai lasciati stare.

Dove finiscono mai
tutti i sogni che hai?

Quelli di un bambino
tanti come stelle
sua seconda pelle

o quelli di un ragazzo
che ne era uscito pazzo
per realizzarne uno,

non ne ha più nessuno.

tramonto 6


Ci hai creduto ogni giorno di più ma sei cresciuto anche tu

e l’adulto che ora è in te
li getta via da sé.

Se levi gli occhi al cielo
vedrai dissolversi le nuvole
in pioggia e gelo

così come quei sogni,
spenti dentro il cuore
lasceranno segni,

la ragione non li vuole
ma diverranno lacrime
come in piena un fiume.

Si frantumano le illusioni tra mille delusioni
come quando dici “mai” ma resistervi non sai


Tramonto 3 o ti amerà per sempre
ma non è vero niente
non durerà che un mese

tu ne farai le spese.

Se guardi tra i ricordi
ne trovi ancora tracce,
perdute nei tuoi occhi
ne trovi ancora gocce,

ci sono desideri
irrealizzati oggi
abbandonati ieri.

E’ l’onda che si infrange
con uno scoglio troppo grande
come la realtà.

Rimane soltanto uno sbaglio; la coscienza ha il suo risveglio
la speranza che avevi dentro l’avrai gettata al vento.

Dove finiscono maitramonto 4 tutti i sogni che hai?

Il tempo li trascina, è lui la tua rovina, è l’attimo che fugge mentre un’alba sorge: prigionieri del passato il tempo c’ha fregato.image

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martedì 30 marzo 2010

5

Discorsi del c…

pene 1

Tu non ce l’hai, quindi non puoi capire. Le tue voglie partono dalla testa, almeno così dicono; io sono schiavo delle sue. Mi ci sveglio la mattina, già preda delle sue richieste, e passerò l’intera giornata a scacciare le sue fantasie.

Perché tu non ci sarai oppure non ne avrai voglia. Vuoi che io ricorda in ogni momento come tu sia una donna, ed una donna vale molto più di un corpo. Lo so, forse non ci crederai, ma lo so.

pene 2

Saperlo però non cambia le cose. E’ il tuo corpo quello che davvero vuole, che lo attira come una calamita, il territorio in cui ha voglia di esplodere, di eruttare, di inondare della sua lava. Io lo assecondo soltanto. Lo assecondo perché mi conviene, perché il piacere che ne ricavo è immenso e non potrei farne a meno, perché sono preda delle sue ossessioni, perché altrimenti non riuscirei a pensare nient’altro.

pene 3Se lasci che si sfoghi dopo, soltanto dopo, diverrò una persona normale ed il sesso non occuperà tanto spazio nella mia testa. Sarà sazio e questo mi permetterà di pensare anche ad altro, di tenermene lontano, di schifarlo addirittura. Ma tu sarai ancora lì e a te non sarà bastato. Penserai che io abbia fatto troppo poco, ti abbia usato e dimenticato. E’ vero. Accade qualcosa di simile nella mia testa. Sei lì, ma non conti più. Le mie fantasie, i miei desideri, la mia voglia di te si sono tutte esaurite in quel liquido che ti è finito addosso.



Imparerò forse a venire incontro alle tue esigenze, ad assecondare, oltre le sue, anche le tue richieste, soddisfare le tue voglie. Ma non sarò meno falso di prima. Avrà ancora voglia di te, prima o poi, vorrà tornare ad esplorare il tuo corpo. Ho bisogno che tu mi lasci tornare, per questo mi sforzo di capire cosa ti piace, cosa cerchi, di cosa hai bisogno. Cosa vuoi da me. Io cosa voglio da te lo sai bene.

pene 4Non pensare di essere migliore di me solo perché a te il sesso non basta. Cerchi tenerezza, comprensione, affetto, fiducia, protezione e chissà cos’altro e sei convinta che questo ti renda migliore, più giusta. Ricorda, anche se in tanti affermano il contrario, che siamo animali, prima che uomini. E questo vale anche per voi donne. Le tue qualità non te le ha regalate il caso, ma un lungo processo evolutivo.

pene 5La natura ti vuole così, dolce e protettiva, pronta a dare la vita per i suoi figli. A me non ha mai chiesto tutto ciò. Lo chiedi tu, e ti dirò, ne hai anche il diritto, ma sono cose non mi appartengono. Quello che la natura mi chiede, prima ancora dei muscoli, delle capacità o l’intelligenza, è tanta voglia di sesso, da sfogare quanto prima e da far tornare in fretta, in modo che non ci si senta mai sazi. Il mio bisogno impellente di spargere seme tra le tue cosce è una legge di natura. Ne sono vittima quanto te.


Non ignoro l’amore, se è questo quello che credi.

pene 6E’ bellissimo amarti, pensare a te quando non ci se,i ed aspettare con ansia il momento in cui tornerai tra le mie braccia, che per quanto vivi e piacevoli siano i ricordi resteranno sempre niente in confronto alla gioia che può darmi sfiorare la tua pelle, baciare le tue labbra, sentire il tuo respiro, ammirare il tuo sorriso, vedere i tuoi occhi illuminarsi per un pretesto qualsiasi, un complimento, una gentilezza, un regalo, una qualunque sciocchezza che possa renderti felice, e sapere di essere l’artefice delle tue sensazioni e sentirsi bene per questo, fare l’amore con te e sentire che l’universo non conta, non contano più le bollette non pagate, lo stipendio che non arriva a fine mese, i soprusi nel lavoro e le ingiustizie nella vita, non conta nient’altro se non i nostri corpi avvinghiati l’uno all'altro, a farci sentire come fossimo il centro dell’universo, il resto è periferia, qualcosa di così lontano dalle nostre emozioni da non tenerne considerazione alcuna.


E’ bellissimo amarti, lo so, ma non sempre dura. Non è colpa tua. Non dipende dalla tua pelle che invecchia, dall’abitudine di averti vicino, dai problemi quotidiani, quelli stessi che consideravamo periferici e senza importanza le prime volte, ma che il trascorrere dei giorni riavvicina a poco a poco, fino a sovrastarci; dipende da quello che siamo, esseri imperfetti incapaci di godersi le cose più belle o di tenerle vive.

pene 7Può dipendere, lo ammetto, anche dalle altre donne.
Perché per quanto ti ami, per quanto possa essere forte il nostro legame, per quanto tu possa sembrarmi superiore a tutte le altre, io non smetterò di guardarle. Non credere mai ad un uomo che dica “ho occhi solo per te”: mente. Tutti gli uomini, persino i gay, guardano le donne da cui sono circondati.

pene 8 Lo fanno per abitudine, a volte con indifferenza, senza malizia, altre con rimpianto, oppure con desiderio. Lo fanno perché farlo è nella loro natura, confrontano chi hanno scelto con le altre, a cui forse hanno rinunciato per sempre, chiedendosi se ne sia valsa la pena. Mi è impossibile non guardare le altre e mi è impossibile non confrontarti con esse.


Se continuerò a perdermi nella luce dei tuoi occhi, saprò che di loro nulla m’importa, che il destino mi ha già offerto quello che non troverei in nessun altra e posso solo ringraziarlo per averti al mio fianco.


Sono stato sincero finora e vogliopene 9 esserlo fino in fondo, per amara che possa essere la verità: da quel confronto un giorno potresti uscire sconfitta. Ed allora il nostro passato si sbriciola tra ricordi vacui e lontani, cancellati dalla voglia di un futuro diverso, che non abbia più te come protagonista.

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domenica 3 gennaio 2010

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Certe città (3 di 3): Le città antiche

gdansk_neptune
Ci sono città con un passato alle spalle che ricordano belle donne di una certa età. Hanno abbandonato da tempo gli atteggiamenti sbarazzini, i colori sgargianti, il desiderio di stare dietro alle nuove mode. Hanno abbastanza anni per aver trovato un proprio stile di vita e sufficiente esperienza affinché quello stile le stia a pennello.

Non rinunciano a rifarsi il trucco, ma sanno essere misurate, non avvertono l'esigenza di nascondere le rughe perché si sentono sicure di sé stesse. Hanno un passato da ricordare e vanno incontro ad un inevitabile declino: ma lo fanno con una dignità che le invidi, senza amarezza, hanno sorrisi sinceri e non a comando come quelli tipici di una top-model davanti ai fotografi e lasciano pensare che, nonostante tutto, alla loro età sappiano ancora godersi la vita, molto meglio di quanto finora abbia saputo fare tu.

Hanno la capacità di farti sentire a proprio agio anche quando ti costringono a passare del tempo con persone che non conosci affatto. Alla fine ti sembrano che anche loro siano tutti gentili, garbati nei toni, misurati nelle scelte, persone interessanti e con qualcosa da raccontare. Certe città sono proprio come quelle donne che guadagnano fascino con l'età: conoscono bene l'arte della seduzione ma niente di ciò che fanno è ostentato, inappropriato o volgare.

E finisci per sentirti sospeso nel tempo e accompagnato per mano tra quelle vie, monumenti, borgo antico, piazze e negozi. Se le frequenterai abbastanza per prenderci confidenza vedrai che, poco per volta, ti sveleranno i propri segreti. E se le frequenti troppo ti accorgerai, troppo tardi, che in quelle strada, quei bar, quei ristoranti, quei ponti, quelle case, quei muri, quell'aria e quelle luci ci avrai lasciato il cuore. Perché certe città son proprio come le donne, di quelle che, anche ad una certa età, gli uomini sanno ancora stregarli.

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