giovedì 1 gennaio 2009

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Nuda sotto la pioggia

Piovevano cani e gatti, come direbbero gli inglesi. L'acquazzone si era prolungato per tutta la mattinata e non accennava a smettere. I notiziari consigliavano di non uscire e non prendere l'auto, per non rischiare di rimanere impantanati nelle strade allagate, come era già capitato agli incauti che, per necessità, lavoro o imprudenza, non avevano ascoltato il consiglio.

Ma il ragazzo non si sarebbe lasciato scoraggiare dal maltempo. Del resto non aveva la patente e non aveva bisogno dell'auto. Sarebbe andato, come sempre, a piedi o, per meglio dire, di corsa. Neanche quel giorno avrebbe saltato il suo quotidiano appuntamento con il jogging. Era andato sotto la neve, sotto la grandine, sotto il sole cocente: cosa vuoi che sia un po' d'acqua?

E pensare che odiava correre. Se qualcuno gli chiedeva perché mai, almeno nei giorni di maltempo, non se ne restasse a casa, lui rispondeva che erano proprio quei giorni che forgiano la tempra di un uomo. “I veri uomini non temono le avversità” rispondeva. Tutte scuse. Aveva programmato quello schifo di percorso che prevedeva scendere la collina, attraversare il ponte, percorrere mezza città fino ad arrivare nelle zone più buie ed isolate per proseguire ancora un paio di chilometri sulla spiaggia e quindi tornare indietro quando, ormai stanchissimo, quella che era stata una comoda discesa si trasformava in una terribile salita, soltanto per una ragione: vederla.

Non li aveva mai contati con precisione, ma supponeva fossero una decina di chilometri. Tanto distava la ragazza che gli piaceva da casa sua. Abitava in una zona sperduta e non ci sarebbe stato nessun motivo per arrivare fin laggiù senza destare sospetti. L'unica scusa più o meno valida che gli era venuta in mente era il jogging. Che odiava, e l' unico motivo per cui, in sei mesi, non aveva mancato un solo appuntamento con il suo supplizio quotidiano, era la possibilità di incrociare i suoi occhi. Cosa che era capitata pochissime volte.

Non sapeva niente di lei, neanche il nome. Sarebbe stato anche capace, nonostante la sua timidezza, di spedirle fiori e lettere d'amore, ma non avrebbe saputo come intestarle: “Alla sconosciuta con gli occhi verdi ed i capelli castani che abita in questa casa”? Meglio aspettare l'occasione di conoscerla di persona. Peccato che quella stramaledetta occasione tardasse ad arrivare. Non usciva spesso, anche se il ragazzo aveva notato che quando lui passava, lei spesso era sotto la finestra a guardarlo. Chissà cosa pensava di lui, se lo ritenesse uno stupido oppure se aveva intuito che faceva quel quotidiano sacrificio soltanto per lei. Quattro o cinque volte, con il bel tempo, l'aveva vista sulla spiaggia, sdraiata a prendere il sole, seduta a leggere, oppure a farsi il bagno in mare. Sarebbero state quelle le occasioni migliori, per fermarsi ed attaccare bottone. Cosa aveva fatto lui, invece? era andato dritto, senza neanche accennare un saluto. Anzi, a volte, aveva addirittura affrettato il passo. Brutta cosa la timidezza. Mesi ad aspettare l'occasione propizia e quando arriva, tirare dritto come niente fosse! O arrossendo. Ed una volta a casa a maledirsi, giurando a sé stesso che non avrebbe ripetuto lo stesso errore. Ed invece no, lo aveva ripetuto spesso, tanto è vero che erano passati sei mesi.

Sei mesi in cui lei era diventata padrona dei suoi sogni e dove, la differenza tra una giornata positiva ed una storta, la faceva incrociare il suo sguardo, fosse anche per pochi secondi, con lei al caldo dentro casa affacciata alla finestra e lui al freddo sotto il diluvio.

Percorreva il consueto percorso, la visibilità era scarsa, in certi quartieri era andata via la luce. Aveva notato come le auto che gli passavano accanto, lo notassero solo all'ultimo minuto, prima con il clacson, cercavano di avvertire della loro presenza ma poi invariabilmente le ruote sollevando l'acqua e il fango presente sulla strada, finivano invariabilmente per schizzarglielo addosso. Non che facesse grande differenza: era già bagnato fradicio.

Infastidito dalla pioggia che gli sbatteva contro il viso, affannato e stanco, aveva anche cominciato a tossire. Si era già pentito della decisione di correre anche quel giorno. Tanto, non c'erano grandi speranza di riuscire a vederla; in più, rischiava di ammalarsi. Cioè, di essere costretto a stare a casa anche se il tempo fosse stato bello. Era fatta, ormai. Inutile recriminare, tanto più che era quasi arrivato nei pressi della casa. Le luci erano accese, ed anche se era ancora piuttosto lontano, notò un'ombra sulla spiaggia. Il cuore del ragazzo cominciò a battere più velocemente. Sperava che fosse lei, anche se no ne era sicuro, era ancora troppo distante. Né riusciva a capire bene cosa stesse facendo. Stava affrettando il passo, ed oramai era abbastanza vicino per distinguere capelli lunghi e le forme di un seno femminile. Ma ancora non aveva capito bene cosa stesse facendo: sembrava un'invasata che si muoveva su, giù, destra, sinistra, piroettava e saltellava confusamente. Quando arrivò abbastanza vicino, la riconobbe. Si arrestò di colpo. Ormai distingueva chiaramente che la ragazza stava semplicemente ballando, ma non fu questo ad avergli fatto sussultare il cuore all'impazzata. Già questo avrebbe potuto bastare per ripagarlo della fatica fatta, la pioggia sopportata e la polmonite che probabilmente si era preso, ma c'era di più.

Lei era nuda. Era un pomeriggio inoltrato di un inverno lontano, pioveva a dirotto, la temperatura intorno ai due gradi, era buio. Solo una fioco luce proveniente dal portico della casa illuminava i movimenti della ragazza, movimenti che a volte ricordavano passi di danza, in altri uno scatenato ballo rock. Ed un unico spettatore ad assistervi.

Era lì, impietrito ed estasiato allo stesso tempo, il ragazzo pensò che qualcuno avesse deciso di mettere a nudo i suoi sogni, scaraventandogli nella realtà, proprio davanti i suoi occhi: nuda davanti a lui c'era la ragazza che amava, ormai era abbastanza vicino per distinguerne i capelli bagnati, il viso raggiante, il seno inturgidito, il corpo esile, i fianchi sinuosi, le belle gambe il sedere sodo, i piedi scalzi.

Pensò di essere diventato lo spettatore privilegiato di uno spettacolo unico ed allo stesso tempo di starne violando l'intimità. Forse avrebbe fatto bene a schiodarsi di lì, non aveva abbastanza coraggio per avvicinarsi, ma neanche riusciva ad allontanarsene. La cosa migliore sarebbe stato nascondersi. Soluzione abbastanza vigliacca, ma era la più pratica che gli fosse venuta in mente sia per continuare a godersi lo spettacolo, fintanto che sarebbe durato, sia per evitare scene imbarazzanti. Riprese a correre in direzione di un albero, dietro al quale intendeva nascondersi, sperando che nel frattempo lei non lo avesse notato. Anche se, almeno in fondo al cuore, sapeva che non era così. Se fosse stato scoperto avrebbe avuto l'illusione di poter avere, con lei, almeno un segreto da condividere. Giunto dietro l'albero, la sentì gridare: “Mi ama, mi ama, mi ama, Marco mi ama!” ed intanto continuava le sue piroette, incurante di lui. Freddo, pioggia ed influenza per venire a sapere che la ragazza dei suoi sogni amava un tizio di nome Marco, tanto da dedicargli un bagno nuda nel diluvio. Si sentì raggelare il cuore. Eppure, allo stesso tempo, sapeva che avrebbe volentieri scambiato tutte le sue cose più preziose, la sua bicicletta, il pallone con la firma del suo calciatore preferito, la sua collezione di fumetti, l'orologio con il bracciale d'argento che gli avevano regalato alla comunione, tutto, pur di vedere ciò che aveva visto. La ragazza, come se quel grido dichiarasse la fine dello spettacolo, rientrò in casa. Lui stette ancora qualche minuto sedendosi sotto l'albero, sporco di fango, infreddolito sotto la pioggia incessante. Ma della pioggia non gli importava più molto: se non altro, avrebbe nascosto le lacrime. Pensò che se qualcuno gli avrebbe chiesto quale fosse stato il momento più bello della sua vita avrebbe risposto quello a cui aveva appena assistito. Ed avrebbe dato la stessa risposta, se gli avessero domandato quale fosse stato invece il più brutto. Le donne pensò, hanno questo potere: di saper rendere lo stesso momento, anche inconsapevolmente, il più incantevole e il più terribile. Quindi si rialzò, tentò di darsi una ripulita e riprese la sua corsa, questo volta verso casa. Avrebbe ricordato per sempre quella scena, e l'avrebbe ricordata, per la conclusione a cui era giunto, come la sua prima lezione sull'amore. Datagli da una ragazza che non conobbe, che non rivide mai più e di cui non seppe mai il nome.

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