sabato 22 ottobre 2011

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Riflessioni di un vecchio stanco

L'uomo si guardò alla specchio e si rese conto per la prima volta di essere ormai troppo vecchio, arrivato al crepuscolo di una lunga vita dove non gli avanzava altro da fare che aspettare la dipartita. Scostò il suo sguardo alla finestra e mentre scendeva la pioggia in cuor suo saliva la vergogna per una vita spesa male, a contemplare il niente e a volte il mare.

Ripensò con affetto e una punta di rimpianto le poche donne amate che in breve tempo l'han lasciato, abbandonandolo desolato e stanco per inseguire qualcun altro. Non dava loro torto, da giovane la bellezza era stata il suo unico interesse e l'essenza di una donna non l'aveva mai capita. Con rammarico rimuginò sul fatto come fosse ormai tardi per pensare ad un riscatto, almeno ai loro occhi, per inseguire l'ultimo desiderio, quello di baciarle, insinuando per un altra volta ancora la sua lingua alle loro labbra.

La fiducia non l'aveva persa solo in se stesso ma nel mondo intero, e non riusciva né a gioire né a soffrire per le notizie dell'ultima ora che gli arrivarono in sottofondo da qualche giornale radio, fosse state scoperte nuove piramidi, finita una guerra o iniziata una rissa allo stadio: tanto qualunque rivoluzione serve a poco o niente fin quando al potere ci faranno salire certa gente. Fosse stato per lui, avrebbe visto favorevolmente il declassamento dell'intera razza umana e volentieri avrebbe lasciato che a guidare il pianeta fossero i gatti di strada, i cani randagi e i panda. Probabilmente, pensò, sarebbe puzzato meno e profumato d'eucalipto.

Con la biblioteca chiusa e i libri in casa già letti tutti non sapeva cosa fare e vagava con la mente invidiando coloro che sanno scrivere una storia, non tanto per la gloria che ne possa scaturire, ma per la libertà di far muovere i personaggi a loro piacimento, gli errori non sono mai fatali e anche i dolori finiranno con l'ultimo capitolo. Che in fondo una storia finisce quasi sempre nel suo momento migliore mentre nella vita quando cala il sipario scende il silenzio e non resta che il buio. Fosse almeno il teatro, si potrebbe sempre sperare in un applauso.

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venerdì 17 giugno 2011

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Stella

lupo che ulula
Buco del cielo,
fuoco rovente
bagliore comunque
di fiamma lontana,
gemma solitaria
immersa nella notte,
forse nel niente,
dall’alto
guardi nel mondo,
le sue follie
i suoi personaggi
a cui t’affezioni
e mandi i tuoi raggi
che evanescenti arrivano
nel buio
lanci
la tenue speranza
di raggiungerti
nei nostri sogni.

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domenica 17 aprile 2011

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Cosa resta

Che cosa resta di una vita sbagliata, di giorni persi per strada, di dubbi irrisolti, di certezze infondate, dei libri letti e degli altri mai aperti, dei film dimenticati e di tutte le illusioni dei nostri giorni peggiori, della pioggia caduta e dei pomeriggi di sole, di tanti litigi con donne perdute, di quelle mai avute e ancora rimpiante, delle storie stanche trascinate a oltranza, delle ore passate guardando il soffitto nella propria stanza, preoccupandoci dell'affitto, le bollette e tante altre sciocchezze, delle bugie dette agli altri e di quelle raccontate a noi stessi, solo per convincerci di essere diversi, dei nostri sbalzi d'umore, della musica sul cui sottofondo abbiamo fatto l'amore, del tempo interminabile speso a cercare parcheggio e del poco che ci siamo concessi nel trovare il coraggio, della sfiga e dei capricci del tempo, dei propositi dispersi nel vento, dei nostri momenti migliori, di tutte le ferite subite e dei lividi che ci siamo procurati da soli, delle insensate paure, dei ridicoli sogni e di tutti i bisogni inventati, dei sorrisi sinceri e di quelli forzati, di troppe parole e delle poche che miravano al cuore?

Donna che guarda il panorama dall'alto

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domenica 20 febbraio 2011

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Meno di niente

E’ di sopra, a preparare la sua roba. Forse è giusto così. Perché in questi quindici anni non c’è mai stato un passo, un contatto, un tentativo di riavvicinamento vero e proprio. Abbiamo saputo solo odiarci. E se quindi ha deciso di andar via, lo ammetto, è la cosa più sensata che abbia mai pensato di fare in quindici anni. Eppure, è stata la mia vita.

Non ci sarà più il mattino a brontolare dove sono i suoi vestiti. Non ci saranno più le sue domande stupide, i suoi discorsi inutili, i suoi atteggiamenti arroganti, i suoi pareri negativi, i suoi brontolii frequenti. Non ci saranno bugie e ritardi al lavoro.

Non ci saranno regali ad anniversari e compleanni, i suoi ultimi piccoli ed insignificanti gesti con cui a volte tentava di ricordarsi di me, con cui forse chiedeva un perdono che non gli ho mai concesso, perché no, non mi basta un fiore, un vestito od un gioiello per consolarmi delle umiliazioni subite. Non ci saranno lacrime sul cuscino, quando la notte rincasava e sapevo dov’era andato, a trovare lei, una puttana sul lungomare, bella come non lo sono mai stata, desiderabile come può esserlo una donna che si preferisce pagare quasi ogni notte e dividerla con gli altri, piuttosto che recuperare terreno e l’esclusiva della propria moglie.

Ha deciso che sia meglio separarci, per tutti e due, ed io non posso certo dargli torto. Non era questo che volevo, benché sapessi che fosse inevitabile. Avevo più motivi di lui per prendere una decisione del genere, eppure non me la sono mai sentita. Perché è stato l’unico amore della mia vita, perché a me ancora mancano i baci, le carezze, gli abbracci e gli sguardi di desiderio dei primi anni, perché questa decisione annulla la mia vita, mi dice in modo chiaro e definitivo quando siano state inutili le mie lacrime sul cuscino quando la notte lo sentivo rincasare ed avviarsi verso la nostra camera, spogliarsi e dopo aver spento la luce, infilarsi tra le coperte, senza avermi nemmeno dato un’occhiata, senza neanche essersi chiesto se davvero stessi dormendo o no; inutili saranno anche la mia rabbia ed il mio dolore: non c’è nulla di recuperabile nel mio matrimonio.

Ma di cosa mi lamento?

Pensavo di aver sposato un uomo. Mi ritrovo con un idiota, che prima ha perso i capelli e poi la testa per un'altra donna, poi anche il pudore, la discrezione ed il rispetto per sua moglie. L’unica cosa che gli è cresciuta è la trippa. Dovrei augurarmi che si sbrighi. Che esca da quella porta al più presto per non tornare mai più. Che schiatti.

So di valere molto di più di come mi ha trattata. E di certo valgo molto più di lui. Valgo diecimila volte più di lui. Non sono stata io a ferire i sentimenti di una persona che aveva giurato di amare per sempre. Non mi sono cercata un’amante solo perché tra noi le cose cominciavano a non funzionare. Non sono io quella che ha deciso che una puttana con una figlia è meglio di una moglie che non può dartene. L’unico peccato davvero commesso da quella ragazza è l’essere nata, eppure mi basta per odiarla.

Perché se non fosse successo forse avremmo recuperato il nostro rapporto e magari oggi non sarei così infelice. Non importa più di chi sia davvero figlia, l’idea che possa anche essere sua gli è bastata per affezionarsi sia a lei che alla madre. Ed io?

Ti sei preso la mia vita, brutto stronzo. Rendimela.

Rendimi l’autostima, la voglia di vivere e quella di amare, il piacere delle piccole cose, i sorrisi e le lacrime perse. Rendimi tutti i miei sogni prima di sparire per sempre. E’ ancora di sopra, a preparare la sua roba, ma credo che ormai manchi poco. Sto piangendo per un coglione calvo grasso ed ipocrita che mi sta per lasciare, e che forse non mi ha mai avuta davvero. Lo so che non dovrei, che non ne vale la pena, che, tra i due, sono io a guadagnarci, perché sì, valgo molto più di quanto quel deficiente pensi.

Ma so anche che il momento in cui uscirà da quel portone, da questa casa e dalla mia vita, mi farà sentire meno di niente.

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domenica 6 febbraio 2011

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Guardandosi negli occhi

La cercò per due anni, chiedendo agli amici,ai parenti, a chiunque la conoscesse. Dalla polizia non andò, che un po' si vergognava, che tanto lo sapeva, che non era successo nulla di grave. Lo aveva lasciato, era solo questo. Solo che non riusciva ad accettarlo. Non capiva. Non si era comportato in modo diverso dal solito. Era andata a prenderla, era stato affettuoso come al solito, le aveva detto di aver fame e si erano fermati al bar per un pasto al volo. È vero, nell'occasione aveva litigato col marocchino che tentò di rifilargli la sua chincaglieria, ma uno scatto d'ira può capitare a chiunque, e poi non era mica rivolto a lei. Non poteva essere stato quello. Che avesse avuto un altro uomo? E dove l'aveva conosciuto? All'ospedale probabilmente, visto che usciva pochissimo di casa e il più delle volto solo insieme a lui. Quella maledetta operazione di appendicite avrebbe dovuto tenerla lontano da lui solo una settimana, invece gliela portò via per sempre e chissà con chi.

Finché non venne a sapere, non ricorda più come, che si esibiva il mercoledì sera in un pub della capitale.
Chissà come ci era finita lì e di cosa vivesse! Decise di partire anche se era piuttosto indeciso su cosa dirsi. Dentro di lui covava il risentimento per essere stato abbandonato, ferito, tradito e offeso, anche se era deciso a perdonarla. Purché tornasse a casa! Le mancava, non sapeva neanche lui perché, in fondo il loro matrimonio non si discostava dalla solita routine, ma la rivoleva al suo posto.

Arrivato in città, chiese un po' di informazioni prima di trovare il pub. Si trovava in periferia, di quelle che hanno fama sia meglio evitare, per non fare brutti incontri.
Trovò il pub.
Era un locale come ce ne sono a migliaia nel mondo, arredato con stile pseudo-irlandese, di quelli dove è difficile respirare, se non dopo le tre di notte, quando finalmente inizia a svuotarsi un po' da quella calca di gente: ragazzi chiassosi, studenti con voglia di divertirsi, coppie a contendersi i tavoli più appartati, uomini soli col bicchiere in mano e gruppetti di donne a fare ironie su di essi.

Ordinò una birra ed aspettò il suo arrivò. Perso nei suoi pensieri, nelle parole che avrebbe voluto dirle, non si accorse che era già sul palco, ed aveva cominciato a cantare. Non l'aveva mai sentita cantare prima, se non timidamente, a voce bassa, quando faceva le pulizie di casa. Qui urlava a squarciagola! Aveva persino imparato a suonare la chitarra. E sembrava felice,molto più felice di quanto l'avesse mai vista.

Dentro la sua coscienza cominciò a prendere piede una voce che diceva che la vedeva molto più felice stretta quella chitarra di quanto lo fosse mai stata tra le sue braccia. Ma per ora, non voleva dargli ascolto. Si avvicinò al palco, per farsi riconoscere. I loro occhi si incrociarono. Fu solo un attimo.

Un attimo in cui, come d'incanto, l'intero locale si zitti. Forse era stato solo un caso, a volte capita che un gruppo non omogeneo di persone intente a farsi i fatti propri, smetta improvvisamente di parlare e far casino. O forse erano stati i suoi occhi. L'attimo in cui aveva cambiato espressione,come di smarrimento, di chi ha paura che qualcosa o qualcuno la faccia rinunciare a sé stessa.

Fu come se in quell'attimo si fosse specchiato negli occhi di lei, per vedersi come lei lo vedeva e come non si era mai reso conto d'essere davvero. Solo un attimo prima, ad una conclusione del genere non sarebbe mai arrivato. Amare, l'aveva amata. Ma l'aveva sempre trattata come un soprammobile. Prezioso, certo, di cui tener cura ma sceglieva lui il posto in cui metterlo e il modo in cui trattarlo, senza possibilità di replica. E anche quando si dovevano prendere decisioni ne parlava prima con lei ma in fondo era come se avesse già deciso. Non faceva altro che preannunciare una sua scelta. Non erano avesse possibilità di repliche e non si era mai chiesto se lei avesse esigenze che lui non contemplasse. Le aveva, a giudicare da quel palco.

Ma in fondo lo aveva sempre saputo. La voce della coscienza aveva preso il sopravvento ed ormai glielo diceva a chiare lettere: l'aveva soffocata nelle sue abitudine perché erano le uniche cose che sapesse darle e nelle quali si muoveva con sicurezza. L'avesse lasciata fare, essere quella che era sempre stata, quella donna lì sul palco piena di energia e voglia di vivere, lui non ne sarebbe stato all'altezza. Gli bruciava ammetterlo ma aveva lasciato che sua moglie conducesse una vita mediocre per non sentirsi mediocre lui. Ovvio se ne fosse andata: cercava quel che lui non sapeva darle e che in realtà neanche aveva chiaro in mente cosa fosse.

E si accorse così in una notte sola di quanta distanza ci sia stata in una vita intera. Cos'altro voleva da lei? Non c'era nulla che potesse dire o fare per cambiare le cose. Pagò il conto, col barista e con la vita. L'avrebbe lasciata in pace. Si diresse verso l'uscita insoddisfatto di sé stesso, insoddisfatto per tutti i rimorsi e i discorsi mai fatti. Si dice che quando muori tutti i momenti più importanti della vita ti scorrano nella mete come un film. Accadde qualcosa di simile nella sua testa, che rievocava in rapida successione tutti i momenti vissuti con lei: erano i titoli di coda della sua storia d'amore.

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