domenica 6 febbraio 2011

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Guardandosi negli occhi

La cercò per due anni, chiedendo agli amici,ai parenti, a chiunque la conoscesse. Dalla polizia non andò, che un po' si vergognava, che tanto lo sapeva, che non era successo nulla di grave. Lo aveva lasciato, era solo questo. Solo che non riusciva ad accettarlo. Non capiva. Non si era comportato in modo diverso dal solito. Era andata a prenderla, era stato affettuoso come al solito, le aveva detto di aver fame e si erano fermati al bar per un pasto al volo. È vero, nell'occasione aveva litigato col marocchino che tentò di rifilargli la sua chincaglieria, ma uno scatto d'ira può capitare a chiunque, e poi non era mica rivolto a lei. Non poteva essere stato quello. Che avesse avuto un altro uomo? E dove l'aveva conosciuto? All'ospedale probabilmente, visto che usciva pochissimo di casa e il più delle volto solo insieme a lui. Quella maledetta operazione di appendicite avrebbe dovuto tenerla lontano da lui solo una settimana, invece gliela portò via per sempre e chissà con chi.

Finché non venne a sapere, non ricorda più come, che si esibiva il mercoledì sera in un pub della capitale.
Chissà come ci era finita lì e di cosa vivesse! Decise di partire anche se era piuttosto indeciso su cosa dirsi. Dentro di lui covava il risentimento per essere stato abbandonato, ferito, tradito e offeso, anche se era deciso a perdonarla. Purché tornasse a casa! Le mancava, non sapeva neanche lui perché, in fondo il loro matrimonio non si discostava dalla solita routine, ma la rivoleva al suo posto.

Arrivato in città, chiese un po' di informazioni prima di trovare il pub. Si trovava in periferia, di quelle che hanno fama sia meglio evitare, per non fare brutti incontri.
Trovò il pub.
Era un locale come ce ne sono a migliaia nel mondo, arredato con stile pseudo-irlandese, di quelli dove è difficile respirare, se non dopo le tre di notte, quando finalmente inizia a svuotarsi un po' da quella calca di gente: ragazzi chiassosi, studenti con voglia di divertirsi, coppie a contendersi i tavoli più appartati, uomini soli col bicchiere in mano e gruppetti di donne a fare ironie su di essi.

Ordinò una birra ed aspettò il suo arrivò. Perso nei suoi pensieri, nelle parole che avrebbe voluto dirle, non si accorse che era già sul palco, ed aveva cominciato a cantare. Non l'aveva mai sentita cantare prima, se non timidamente, a voce bassa, quando faceva le pulizie di casa. Qui urlava a squarciagola! Aveva persino imparato a suonare la chitarra. E sembrava felice,molto più felice di quanto l'avesse mai vista.

Dentro la sua coscienza cominciò a prendere piede una voce che diceva che la vedeva molto più felice stretta quella chitarra di quanto lo fosse mai stata tra le sue braccia. Ma per ora, non voleva dargli ascolto. Si avvicinò al palco, per farsi riconoscere. I loro occhi si incrociarono. Fu solo un attimo.

Un attimo in cui, come d'incanto, l'intero locale si zitti. Forse era stato solo un caso, a volte capita che un gruppo non omogeneo di persone intente a farsi i fatti propri, smetta improvvisamente di parlare e far casino. O forse erano stati i suoi occhi. L'attimo in cui aveva cambiato espressione,come di smarrimento, di chi ha paura che qualcosa o qualcuno la faccia rinunciare a sé stessa.

Fu come se in quell'attimo si fosse specchiato negli occhi di lei, per vedersi come lei lo vedeva e come non si era mai reso conto d'essere davvero. Solo un attimo prima, ad una conclusione del genere non sarebbe mai arrivato. Amare, l'aveva amata. Ma l'aveva sempre trattata come un soprammobile. Prezioso, certo, di cui tener cura ma sceglieva lui il posto in cui metterlo e il modo in cui trattarlo, senza possibilità di replica. E anche quando si dovevano prendere decisioni ne parlava prima con lei ma in fondo era come se avesse già deciso. Non faceva altro che preannunciare una sua scelta. Non erano avesse possibilità di repliche e non si era mai chiesto se lei avesse esigenze che lui non contemplasse. Le aveva, a giudicare da quel palco.

Ma in fondo lo aveva sempre saputo. La voce della coscienza aveva preso il sopravvento ed ormai glielo diceva a chiare lettere: l'aveva soffocata nelle sue abitudine perché erano le uniche cose che sapesse darle e nelle quali si muoveva con sicurezza. L'avesse lasciata fare, essere quella che era sempre stata, quella donna lì sul palco piena di energia e voglia di vivere, lui non ne sarebbe stato all'altezza. Gli bruciava ammetterlo ma aveva lasciato che sua moglie conducesse una vita mediocre per non sentirsi mediocre lui. Ovvio se ne fosse andata: cercava quel che lui non sapeva darle e che in realtà neanche aveva chiaro in mente cosa fosse.

E si accorse così in una notte sola di quanta distanza ci sia stata in una vita intera. Cos'altro voleva da lei? Non c'era nulla che potesse dire o fare per cambiare le cose. Pagò il conto, col barista e con la vita. L'avrebbe lasciata in pace. Si diresse verso l'uscita insoddisfatto di sé stesso, insoddisfatto per tutti i rimorsi e i discorsi mai fatti. Si dice che quando muori tutti i momenti più importanti della vita ti scorrano nella mete come un film. Accadde qualcosa di simile nella sua testa, che rievocava in rapida successione tutti i momenti vissuti con lei: erano i titoli di coda della sua storia d'amore.

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