martedì 29 giugno 2010

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Un libro rosa

libri rosa
Una volta mi hanno chiesto se volevo provare a scrivere libri rosa, lunghi 100 cartelle, come gli Harmony. "Leggine un paio, così capisci che tipo di storie vogliamo". A leggere gli Harmony non ce l'ho fatta, ma almeno il romanzo volevo provarci davvero, a scriverlo, e l'avevo anche iniziato ma dopo neanche venti pagine mi sono fermato e da allora ho lasciato perdere. Non sono abbastanza bravo né professionale per una cosa del genere. Ma come dice qualcuno..."Non gettare le cose che scrivi! Ciò che non funziona sulla carta, puoi sempre trasformarlo in un post".

Un libro rosa.
Come cazzo si scrive un libro rosa?!
Non prendertela con me, appassionata lettrice di questa collana se, tra le mie pagine, non troverai nulla che ti faccia sognare, vivere di quelle intense emozioni che la vita di tutti i giorni ti nega o illuderti che, almeno nei libri, l’amore vero ci sia e trionfi. Ed è chiaro che, se questo oggettino che ti ritrovi tra le mani non solo ti deluderà ma ti sembrerà altresì scritto da cani da un dilettante idiota, maschilista e misogino la colpa, evidentemente, è solo tua. Si, proprio tua, non far finta di non aver capito! No, non voglio dire che tu sia ignorante ed incapace di capire la mia arte che è, effettivamente, quella di un idiota, maschilista e misogino scrittore da quattro soldi. E’ colpa tua, in quanto tu, proprio tu, mi hai reso così! Tu, che te ne stai spaparanzata sul divano a leggere le mie sciocchezze, o sdraiata comoda sul letto, dopo aver acceso lo stereo e messo un sottofondo musicale a te gradito, o sotto il sole cocente d’estate a mostrare le chiappe, oppure mentre fai la tipa colta, quella che legge un libro, sia pure sentimentale quale vorresti che il mio fosse, mentre sul tram o sul treno sei diretta al lavoro o chissà dove. Beh, lasciami spiegare perché, se questa storia ti deluderà, sarà tutta colpa tua. Del resto, io e te, ci conosciamo da tempo. Lo so che non mi hai mai notato, lurida vigliacca! E che questa è la prima volta che ti ritrovi a leggere una mia storia e già te ne stai pentendo, eppure siamo appena alla prima pagina. Io intendo dire che noi, ci siamo incontrati, e spesso, nella realtà. Tu sei quella che mi ha rovinato la vita.



Hai cominciato a rovinarmela appena compiuti i quindici anni, cioè da quando io ho cominciato a provarci con te e tu, puntualmente, a negarmela. Ti sei accorta di tutti i miei amici, tranne di me. Sei stata coi miei peggiori nemici e mi hai puntualmente ignorato. “Potevi insistere, fare di più, fare di meglio, farti notare” starai certo pensando. L’avrei anche fatto, se tu, donna, non avessi puntualmente cambiato strada tutte le volte che il destino metteva me sul tuo cammino. Così, ovvio, io non so nulla di te. I tuoi gusti mi sono sconosciuti, i tuoi pensieri del tutto estranei, le tue aspettative un punto interrogativo senza risposta. Per farla breve, io non so nulla di donne. Motivo per cui questo libro non ti farà né divertire né sognare. Ed allora perché l’hai scritto? Ti chiederai tu. Puoi immaginarlo. Un disperato bisogno di soldi. Ed un editore che, anziché sforzarsi di diffondere libri di qualità, preferisce concentrare le sue energie su una collana di libri rosa, quelli che piacciono a te, insomma, perché questi rendono di più. Se devo essere sincero avrei preferito che i nostri destini non si fossero mai incrociati su queste pagine, in un libro che a me non piace scrivere ed a te non divertirà leggere. Io, in tutta onestà, avrei preferito sbatterti. Ma tanto lo so già come sarebbe finita: con te che mi dici “No, dai, oggi ho mal di testa, sarà per un’altra volta”, quindi indignata, mi avresti pregata di tenere le mani a posto, intimandomi di smetterla “che sei peggio di un polipo!”. Ed ecco allora perché queste pagine, per brutte che siano, te le meriti tutte ed è giusto che tu vi arriva fino in fondo, come pegno da pagare per le tue colpe e per non avermela mai data.

“Beh, non c’è che, dire, come prefazione è senz’altro originale” si pronunciò Francesco. “Certo, non so quanto verrà apprezzata da una lettrice, dal momento che le dai della lurida vigliacca, scarichi su di lei le tue colpe di scrittore fallito e confessi persino di volertela scopare! Senza contare le critiche all’editore, che accusi di dedicarsi, per una mera questione di soldi, a collane mediocri. Voglio dire, non so dove ti porterà tutto questo, immagino comunque piuttosto lontano dalla tua casa editrice, però, come dirti? Apprezzo la tua sincerità”.

“Grazie” risposi a Francesco, il cui incoraggiamento mi stava davvero risollevando il morale. “Senti” gli spiegai “questo lavoro non fa per me. Io non me ne intendo di donne. Non so descriverle, non so cosa pensano, non so cosa vogliano e se è per questo neanche cosa combinano quando sono tra di loro!”

“Non sei mica l’unico! Quale uomo ha mai capito una donna? E’ qui che sbagli! Non è questo il tuo problema, Emilio!"

“Ah, no? E quale sarebbe il mio problema, allora?” chiesi io, curioso di sentire la sua risposta.

“Scrivere una stramaledetta storia d’amore. Non devi fare nient’altro. Prendi un tizio, falle incontrare una, falli trombare e vivere felici. Amen! Che ci vorrà mai?” rispose Francesco che, come al solito, faceva tutto facile.

“Scrivila tu genio, dal momento che sei così bravo!” risposi seccato.
“Dai, non te la prendere! Io dico che puoi farcela”

“Tu non ti rendi conto dei problemi pratici. Mi hanno chiesto di scrivere storie per femmine adulte. Destinate a donne, che parlino di donne, che descrivono le donne. Pensi tu che io sappia descrivere una donna che si trucchi? O che si vesta? O che io sappia la differenza tra un tailleur ed un abito da sera? Questo lavoro non fa per me!”

“Certo che sei messo male!” constata il mio amico.
“L’hai detto! Perciò ho intenzione di rinunciare alla grande impresa: scrivere storie d’amore non fa per me”
“No, no, no amico. Dì piuttosto che scrivere non fa per te”

“Non è vero” mi giustificai risentito “credo che riuscirei a produrre qualcosa di buono in un settore a me più congeniale”
“Tu non riusciresti a produrre davvero un bel niente! Perché cosa credi, che in un settore a te più congeniale le donne non esistano? Se elimini le donne dai tuoi libri, sai cosa ti restano? I romanzi per omosessuali, forse manco quelli”.

Colpito ed affondato. I miei sogni da scrittore in erba erano andati a sbattere contro la concretezza di Francesco. Sarebbe stato meglio dedicarmi più assiduamente alla mia attività di addetto alle pulizie, lavoro con cui sbarcavo il lunario, che non perdermi dietro ai miei stupidi sogni di gloria. Non ero capace di scrivere una stupida e lurida storia d’amore, figuriamoci se mi sarebbero riusciti romanzi più impegnativi. Sconsolato, stavo per tornarmene a casa, quando Francesco, come pentitosi di avermi aperto gli occhi, cercò di consolarmi, mettendomi una mano sulla spalla: “Dai, non abbatterti!” mi disse.

“Lasciami, ho voglia di andare a casa” risposi.
“Facciamoci un giro al pub, prima. Ti offro qualcosa da bere!” fece lui.

“Non ne ho molta voglia”.
“E dai! Devi imparare a descrivere le ragazze, no? li ne troveremo parecchie”.

“Cerco. Peccato che si terranno a distanza di sicurezza da un tipo come me”.
“Ma no” sorrise Francesco “devi solo imparare a scioglierti!”

Immagino che a questo punto uno scrittore decente, quale io non sono, saprebbe descrivere il pub, con le sue panche di legno scuro, i suoi tavoli pieni di scritti e firme incise col coltello, i suoi poster di cantanti più o meno famosi, i quadri o i simboli delle varie marche appese dappertutto, le bottiglie di liquori sul ripiano dietro il bancone, la calca di gente che si affollava al bar nella disperata impresa di farsi servire da bere mentre altri sfigati cercavano invano un posto a sedere, senza contare le numerose persone che, all’uscita, si intossicavano i polmoni fumando sigarette. Ma, dal momento che avete a che fare con me, cioè con un tipo che, in quanto a descrizioni, lascia alquanto a desiderare, vi dovrete accontentare del fatto che era un tipico pub in stile irlandese, battezzato, senza troppa fantasia, Jim Morrison Irish Pub. Non avevamo fatto altro che pochi passi quando Francesco si fiondò verso due belle sventole. Pardon, due graziose fanciulle che stavano tranquillamente parlando dei fatti loro in compagnia di due birre medie, le cui espressioni, quelle delle fanciulle intendo, mica delle birre, vedendoci arrivare, non furono certo di gioia.

“C’è posto qui?” chiese Francesco con l’indifferenza tipica del ruffiano che era.
“Veramente ci siamo noi!” rispose una delle due, non senza una punta di acredine, mentre l’altra guardava sia noi sia la sua amica senza dire una parola ma con l’espressione di chi sta pensando “speriamo che se ne vadano”. Toh, e poi mi dicono che non capisco le donne! Sto imparando a leggerle nel pensiero invece.
All’idea, mi venne da sorridere.

“C’è spazio per tutti, mi sembra” disse Francesco, accingendosi a prendere una sedia.
“Che hai da ridere tu?” mi rimproverò la tipa, ancora più incazzata dal fatto che, anziché andarcene, ci stavamo sedendo.
“Ha trovato l’ispirazione nei tuoi occhi” rispose Francesco, convinto con questa idiozia spacciata per complimento di smorzare i toni ostile delle ragazze.

“Sai dove te la puoi mettere l’ispirazione?” fece quella a me.
“Ehi! Io non ho detto nulla!” reclamai.
“Dico davvero” continuò Francesco “è uno scrittore”.
“Ah, sì? E che tipo di libri scrive?” domandò la ragazza, incuriosita. Francesco mi diede un colpo col gomito, come se volesse l’approvazione per il suo approccio.
“Narrativa rosa” rispose il mio amico.
“Davvero? Non ha la faccia di uno che scrive storie d’amore. Anzi, se è per questo non ha proprio la faccia di uno scrittore” disse quella.

“Perché, che faccia ho?” chiesi allora io, offeso.
“Di uno…” si interruppe ed alzò le sopraciglia “…sfigato?”
“L’apparenza inganna” riprese Francesco.
“Ma grazie!” esclamai io, infastidito dai commenti di tutti e due. “Dai, stavo scherzando” si giustificò lei sorridendo.
“Il ragazzo è timido” riprese Francesco “deve credere di più in sé stesso, mettersi d’impegno e scrivere, ma ha talento”
“Mi sembravi di tutt’altro parere poco fa” considerai.
“Ti stavo solo spronando”

“Allora” domandarono le ragazze “quanti libri hai pubblicato finora?”
“Neanche uno” ammisi io. Risate generale delle due ragazze. Occhiata severa di Francesco. Il quale, avendo fatto del mio presunto talento il perno del discorso continuò su quel tono: “Gli editori stanno ancora esaminando i suoi lavori. Non si sono ancora pronunciati con proposte di contratto ma l’impressione è che siano rimasti favorevolmente colpiti”.

“Francesco, smettila, per favore” lo scongiurai io, che non né potevo proprio più delle sue idiozie, preferendo a questo punto raccontare tutta la verità. Le due ragazze, di cui ancora ignoravamo il nome, vennero così a conoscenza di tutte le mie frustrazioni, di come i miei elaborati venissero puntualmente respinti al mittente e del fatto che la mia unica chance di fare questo mestiere consistesse nel diventare autore di libri rosa, in quanto una casa editrice era pronta ad investire su questo genere per la sua nuova collana ed aveva bisogno di storie.


“Non fa per te” risposero le ragazze “tu non capisci niente di donne”.
“Proprio quello che gli ho detto anch’io” concordò Francesco. “Zitto tu, che cambi idea ogni cinque minuti!” replicai secco. “Sentiamo, voi due: perché non capirei nulla di donne?”
“Perché sei stato un’ora a parlarci di te, della tua vita e di tutti i tuoi problemi. E neanche sai come ci chiamiamo! Tipico degli uomini “

“Il ragazzo è proprio di questo che ha bisogno” Francesco si insinuò nel discorso “capire di più la vostra psiche, i vostri sentimenti, insomma conoscervi”.
“Di tutte le scuse usate per cuccare questa è la più stupida che abbia mai sentito” sentenziò la più loquace, e sincera, delle due.
“Vedi, ci sono due possibilità allora: o noi due siamo così idioti da usare scuse ridicole oppure è vera” replicò Francesco.
“Senz’altro la prima” rispose la ragazza “ed ora se volete scusarmi, ma è arrivato il mio ragazzo” si alzò e fece per andarsene.

“Ehi, mi lasci sola?” domando l’altra.
“Ci siamo noi a farti compagnia” ne approfittò subito Francesco.
“Hai sentito? Ci solo loro”.

“Davvero magnifico” commentò la malcapitata. Prima che l’altra si allontanasse a me venne una domanda da farle, tanto per essere sicuro, nel caso l’avessi rivista, con chi mi trovato di fronte: “Scusa, ma tu com’è che ti chiami?”
“Claudia” quindi si girò ed andò via.

Mentre Claudia si allontanava mi chiesi come l’avrei descritta se avessi voluto renderla protagonista dei miei libri. Bionda, ok, quello era facile. E poi? Provocante, sensuale, intrigante…mah. Nessuna definizione era adatta in realtà. Sarebbe stato tutto più facile se, anziché in un libro, avrei raccontato di Claudia ai miei amici: bionda, zinne da sballo e faccia da porca. Tutti avrebbero capito, nessuno mi avrebbe chiesto altro ed io avrei proseguito tranquillamente, senza interruzioni. Ad ogni modo, eravamo rimasti in tre. In pratica, uno di noi era di troppo. Tuttavia io non ero affatto intenzionato ad andarmene. Purtroppo neanche Francesco.

Mi dissi che io avevo più scuse di lui per restare. Naturalmente, come Francesco, anch’io volevo soprattutto portarmela a letto tuttavia Ilaria mi sarebbe stata utile come soggetto per i miei racconti. Sarebbe stato stupido però restare a fare il peso morto così decisi che, se le donne si annoiano a sentire gli uomini che parlano di se stessi, magari avranno piacere a descrivere sé stesse. Così esortai Ilaria a parlarmi di lei. “Cosa vuoi sapere?” mi chiese.
“Tutto. Lavoro, passioni, hobby…tutto quello che ti riguarda”

“Vediamo…studio lingue, ma per mantenermi lavoro come commessa, faccio volontariato per la Croce Rossa la domenica, vado in palestra perché mi piace mantenermi in forma, in piscina due volte la settimana e sono anche iscritta ad un corso di recitazione teatrale”


“Ed il tempo di respirare dove lo trovi?” chiediamo allora noi. Lei sorride. “Se ti sai organizzare riesci a fare tutto. Non è così complicato. Basta sapersi gestire” Non so se i suoi discorsi provocassero in me più rabbia od invidia ma preferii cambiare argomento. “Che musica ascolti?” domandai.
“Mi piace molto Gigi D’Alessio”. Meno male, aveva dei difetti ed anche gravi.

Più parlavamo con Ilaria più mi rendevo conto che valesse davvero la pena approfondire la sua conoscenza, in questo Francesco non aveva sbagliato. Una ragazza con così tanti interessi mi sarebbe stata davvero utile per entrare nel…ehm…fantastico mondo delle donne. Se poi fossimo finiti anche a letto, beh, sarebbe accaduto solo perché io sono il tipo che lavora fino a tardi ed approfondisce anche i dettagli.


Con scrupolo e professionalità. Del resto Ilaria, da cotanto interesse, ci avrebbe senz’altro guadagnato. A me interessava tutto di lei, dal suo modo di pensare a quello di vestire, avrei notato ogni più piccola sfumatura nei suoi atteggiamenti e se mi fosse stato possibile, avrei cercato di prevenire ogni suo desiderio. Insomma mi sarei auto-proclamato suo angelo custode. Solo che, mentre io ero pieno di buoni propositi sul suo conto, Ilaria stava civettando e facendo gli occhi dolci a Francesco. Grandissima troia!



Ed io ne avevo riposto tutta la mia fiducia su di lei, tanto da volerla prendere come musa ispiratrice per creare le eroine dei miei romanzi. Tutti i miei progetti stavano andando in fumo per via di quel cascamorto di Francesco, una serpe velenosa che si spacciava come mio migliore amico.

“Si è fatto tardi, devo andare a casa” disse Ilaria, rompendo il flusso dei miei pensieri. Nel pub la maggior parte degli avventori erano andati via, solo quattro o cinque tavoli erano ancora occupati. Guardai l’orologio: segnava le due.

“D’accordo. Ti accompagno, allora” ne approfittò subito Francesco.

Qualcuno potrebbe pensare che la mia fosse gelosia, in realtà io volevo solo impedire che quel lurido verme mi soffiasse da sotto il naso quella che ormai avevo eletta come mia protetta. Dovevo assolutamente impedirle di divenire preda del primo dongiovanni che le ronzasse intorno. “Vi accompagno” dissi.

“Ma se abiti all’angolo!” mi fece notare Francesco.
“Appunto” cercai di prendere tempo “sono a piedi, ma vorrei passare a prendere le sigarette prima di rincasare. Vengo con voi, così tu puoi accompagnarmi”.
“Hai sempre odiato il fumo!”.
“Sono nervoso, ok? Questa faccenda del romanzo mi sta facendo impazzire. Così pensavo di cominciare oggi!”
“Se è solo per provare” disse Ilaria “posso offrirtene una”.
“Sono molto nervoso. Una non mi basta!” sbuffai.

Francesco si avvicinò, mi prese sottobraccio e mi invito a seguirlo. Ci anfanammo dalla ragazza, che ci guardava perplessa. “Senti, Emilio, si può sapere che cazzo vuoi? Mi serve campo libero, ho intenzione di provarci con Ilaria, stasera”. “Lascia perdere quella non è per te!” sentenziai io.

“E chi lo dice? E poi, scusa, io voglio solo portarmela a letto”. “Ma l’hai sentita, fa volontariato, questo e quest’altro…è una ragazza seria. Non ha tempo per le avventure” tentai di persuaderlo.
“Lasciami fare, e vedrai se non la convinco” disse sicuro Francesco. Ma per quanto breve, la nostra discussione era durata anche troppo. Ilaria se n’era già andata.
“Mi dispiace” mentii a Francesco.
“Guastafeste” rispose lui mentre, uscendo dal bar, ci avviammo ognuno verso la propria casa.

Quando mi risvegliai il giorno seguente, prima di andare al lavoro, mi resi conto di un piccolo particolare: avevo impedito a Francesco di accompagnare a casa Ilaria e quindi non c’era più modo di rintracciarla. Non avevamo il suo numero e benché ci avesse raccontato i suoi mille interessi non ci aveva però confidato dove questi avessero luogo. La mia unica carta da giocare era diventare un assiduo frequentatore dell’Irish pub e sperare di rincontrarla.

Ero sempre immerso in questo tipo di pensieri quando squillo il telefono. Era l’editore. “Allora, Emilio, hai cominciato a buttar giù qualcosa?” mi chiese.
“Ho delle idee per una storia. Ma devo ancora lavorarci ”.
“Non vorrei metterti fretta, ma devo. Ho bisogno di un po’ di racconti pronti per fine mese, e, se pensi di non farcela, dovrò rivolgermi a qualcun altro”.
“Per fine mese, ok” risposi sicuro, quando in realtà, di pronto, avevo solo poche pagine e tutte da buttare.

Andai al lavoro e la sera, mi recai al pub, ma di Ilaria non c’era traccia. E non la incontrai neanche nei giorni seguenti. Mi stavo quasi dimenticando di lei e volentieri avrei spostato la mia attenzione su qualsiasi altra donna, peccato che io fossi praticamente incapace di agganciarne una. Per questo andavo al pub solo con Francesco, che, al contrario di me, con le ragazze ci sapeva fare. Solo che Francesco, forse ancora irritato da quel che era successo quella sera, non si faceva più vedere. La mia solitudine mi deprimeva e non riuscivo neanche a scrivere. Eppure mancavano solo venti giorni alla consegna del romanzo. Stavo tentando di affogare le mie frustrazioni in un bel boccale di birra quando riconobbi Claudia.

“Ma che piacere rivederti!” la salutai con entusiasmo. Entusiasmo eccessivo a giudicare dall’occhiataccia che mi diede il suo ragazzo. “Ed Ilaria dov’è?” mi affrettai a chiedere. Claudia risposa incerta al mio saluto quasi come se non si ricordasse affatto chi ero. Ma sentendo nominare Ilaria si convinse che in qualche modo dovevamo esserci conosciuti ed anche se con esitazione rispose alla domanda.

“Eh, non la si vede in giro da un bel po’ di giorni! Tra l’Università ed il corso di recitazione è impegnatissima. Considera poi che domani c’è la prima”. Il corso di recitazione! Ecco dov’era finita.
“Davvero?” chiesi interessato “Sai dove? Mi piacerebbe assistervi”. “Al Gran Teatro Dannunziano. Puoi venirci con noi, se ti va”. Mi aveva invitato ad andare con loro eppure ancora non aveva inquadrato bene chi fossi. L’illuminazione le arrivò all’improvviso: “Ehi, ora mi ricordo di te! Tu sei quello con l’amico carino!”.

Beh, ammetto di non essere il tipo che rimane impresso nella memoria delle persone, ma certo che l’idea di essere ricordato per l’amico carino è piuttosto frustante. “Perché non porti anche lui? A Ilaria farebbe molto piacere senz’altro”. “Vedremo” le risposi io, che al contrario non avevo nessuna intenzione di invitarlo “anche lui è un tipo piuttosto impegnato. Non so se riuscirà a venire”.

Claudia mi diede il suo numero di telefono in modo da poterla contattare per l’indomani, in caso avessi avuto dei problemi. Ma nessun contrattempo mi avrebbe impedito di assistere al dramma in scena al Gran Teatro dell’indomani, visto il mio particolare interesse per una delle interpreti. Mi ero anche deciso a comprare un bel mazzo di fiori, convinto che mi avrebbero fatto fare una buona figura con Ilaria. Quello che odio, in questi casi, sono i sorrisi beffardi ma inevitabili dei fiorai quando entri nei loro negozi, già spaesato dall’incredibile varietà di piante e colori con cui si presentano oltre che spaventato dai prezzi.

“Desidera, signore?” mi chiese il commerciante, mentre io stavo ancora scegliendo. Volendo andare sul sicuro puntai sulle rose, indeciso però su quante prenderne. Non volevo esagerare ma neanche passare per tirchio. E soprattutto non volevo uscire dal negozio con il mazzo di rose in mano, altrimenti il sorriso beffardo del fioraio si sarebbe esteso a tutti coloro che avrei incrociato per strada. Così optai per un mazzo da sette, che, con un po’ di fatica, sarebbe riuscito ad entrare nella borsa da lavoro. Il fioraio vedendomi rovinare in trenta secondi quel mazzo che lui aveva preparato con così tanta cura mi guardò perplesso ma non disse una parola mentre io, soddisfatto, uscivo dal negozio.
L’indomani telefonai a Claudia e le dissi che ci saremmo visti direttamente davanti l’ingresso del teatro, venti minuti prima dello spettacolo. La sera scoprii che era stato invitato anche Francesco. Aveva in mano un enorme mazzo di rosse, molto più grande e più bello del mio. Il quale, tra l’altro, stritolato nella borsa da lavoro si era completamente sfaldato, le rose si erano rovinate ed erano diventate un’accozzaglia di petali. Ne era rimasta integra una sola, peccato però che puzzasse di sottaceti sott’olio, dal momento nella borsa, oltre che i fiori, avevo messo il panino per la pausa pranzo.

 “Belli, eh?” chiese Francesco, che portava con fierezza il suo mazzo di rose.
“Per chi sono?” chiesi, temendo la risposta.
“Per Ilaria, naturalmente” rispose lui. “Non ti sembra eccessivo per una persona che hai visto una volta sola?” domandai allora. “Una volta sola? Se ci frequentiamo tutte le sere!”. Brutto colpo, questo! Eppure al pub non avevo mai visto né lui né Ilaria. “Davvero? Pensavo non venisse più al pub perché fosse impegnata con le recite” dissi.
“Infatti ha pochissimo tempo” convenne Francesco “ma io non mi do mai per vinto quando parto all’assalto di una bella pupa. Sono impazzito i primi giorni, per trovare il negozio nel quale lavora, ma ne è valsa la pena!”.

Non ci avevo pensato! Ilaria ci aveva confidato di lavorare come commessa in un negozio d’abbigliamento, ma io non avevo fatto molto caso ai suoi discorsi, così cercando di rincontrarla la cosa mi sfuggì di mente. Come la Croce Rossa, la palestra, la piscina…se avessi ascoltato con attenzione, mi sarei ricordato meglio i luoghi che frequentava. Ero il solito fesso. Comunque ciò mi servì da lezione: se volevo conquistare una donna forse avrei quantomeno dovuto ascoltare quel che diceva. Probabilmente, questo avrebbe aumentato le mie chance.

Ci sedemmo in seconda fila pronti a goderci il dramma. Andava in scena Il Gabbiano opera teatrale scritta da Anton Cechov, scrittore russo famosissimo ma a me sconosciuto. Ilaria vi interpretava la parte di Nina, una giovane attrice innamorata di un tal Konstantin Treplëv, commediografo da quattro soldi. Insomma uno scrittore, anche se di teatro, era innamorato di un attrice e scriveva testi che avessero lei come protagonista assoluta.

Mi ricordava qualcosa tutto questo e mi fece piacere scoprire che l’amore di Treplëv per Nina fosse corrisposto. Tra l’altro l’analogia tra la recita sul palcoscenico e la mia vita mi fece venire in mente una cosa: che bisogno avevo, in fondo, di inventarmi storie? Avrei potuto copiarle. Avevo miliardi di storie da cui attingere, l’intera letteratura dei cinque continenti.. Certo, potevano esserci problemi di copyright ma solo in caso m’ispirassi a storie recenti. Non avrei avuto problemi con narratori morti da secoli.

L’unico inconveniente era che in quel caso avrei dovuto attualizzare le storie. Già mi vedevo Renzo e Lucia braccati non più dai bravi ma coinvolti in storie di mafia. Oppure avrei potuto puntare su storie sconosciute, autori sudamericani poco noti nel nostro continente, riadattandone le vicende. Insomma, perché avrei dovuto fare tanta fatica quanto né bastava molto meno per consegnare qualcosa di valido all’editore?

La mia geniale intuizione mi stava mettendo di buon umore così, tra la fine del secondo atto e l’inizio del terzo, cominciai a pensare a come risolvere l’altro problema che mi stava assillando in quei giorni: conquistare Ilaria. Non potevo permettere a Francesco di continuare a guadagnare terreno in quel campo. Bisognava fare qualcosa. Peccato che lui si fosse presentato con uno sgargiante mazzo di rose rosse ed a me ne fosse rimasta una sola, che tra l’altro, anziché profumare, puzzava di tonno sott’olio. Eppure chissà che anche quella non tornasse utile.

Alla fine del terzo atto mi allontanai con la scusa di andare al bagno. In realtà mi misi in cerca dei camerini. Le porte però erano chiuse. Senza perdermi d’animo piazzai la rosa a reggersi su una maniglia, aggiungendovi un biglietto. Quindi tornai per l’ultimo atto, dove si scopre che Nina si era rovinata la vita per inseguire uno scrittore più famoso di Treplëv mentre costui ha raggiunto sì il successo ma avendo perso l’amore di Nina finisce per suicidarsi. Considerato che almeno nel primo atto mi ero immedesimato in lui, devo dire che il finale non mi aveva affatto entusiasmato. Comunque ci fu lunghi applausi al termine del dramma, compresi i miei.

 Claudia ci invitò a raggiungere Ilaria nei camerini, in modo che Francesco potesse consegnare il suo mazzo di fiori ed io mi aggiunsi volentieri per verificare la reazione di Ilaria alla mia umile rosa maleodorante. La trovammo intenta a leggere il mio biglietto. E, fortunatamente, sorrideva.

Questa rosa ha perso il suo profumo così come la mia vita, lontano da te, ha perso sapore. Sorridi e la rosa tornerà a profumare ed il mio cuore a gioire.

“Ma sei piena di corteggiatori!” esclamò Claudia. “Tutto merito mio, che ti ho lasciato campo libero mettendomi con Vincenzo” e mentre canzonava Ilaria, diede un bacetto sulla guancia del suo ragazzo. “Del resto mi sono già presa il meglio che c’era sulla piazza”.

“Chissà chi l’ha scritto?” si chiese Ilaria dubbiosa.
“Un bugiardo, di sicuro” rispose bruscamente Francesco “visto che quella cosa continua a puzzare di…cosa saranno? Sottaceti?” e mentre parlava consegnò il suo mazzo “Ecco qualcosa di più consono alla tua bellezza”.

“Devo farti i miei complimenti!” tentai di far cambiare discorso a tutti “un’interpretazione davvero superba. Cechov non è affatto facile da rappresentare in scena, e devo dire che ogni attore ha dato il meglio di sé ma tu…tu eri davvero una spanna sopra tutti. Si vede che ami il teatro”.
“Davvero ti sono piaciuta?” mi chiese Ilaria, arrossita per i complimenti. “E me lo chiedi? Mi hai persino fornito l’ispirazione per il mio libro”. “Ma dai!” fece lei.

“Guarda che dico davvero! Mi è venuta in mente la storia. Uno scrittore di mezza tacca ama una bellissima attrice di teatro, solo che lei finisce per invaghirsi di un altro, che seguirà e con il quale finire per soffrire due lunghi anni…”
“Ma questo è plagio!” esclama inorridito Francesco.

“Ma quale plagio!” insisto io “la mia è una storia a lieto fine. Quando lei torna, lui mica si spara!E poi sarebbe ambientato ai giorni nostri”. “Il teatro è sempre stato ispirazione di vita!” sentenzia Ilaria. “Infatti. Devo prendere qualche appunto per il romanzo. Ti dispiace se mi faccio vivo alle prove, di tanto in tanto?” chiedo io.
“Certo che no! Anzi, mi farebbe piacere” mi rassicura lei.

Francesco mi guardò accigliato e mi indicò di andare con lui. Lo seguii. “Insomma, si può sapere cosa cazzo stai combinando?”. “Devo scrivere un libro, ricordi? E devo farlo in fretta”. “Tu non me la racconti giusta” risponde secco lui. Francesco era il mio migliore amico e non era stupido. Non so cosa mi spingesse verso una ragazza che sì, mi piaceva, ma conoscevo ancora troppo poco per poter dire che l’amavo. E che rischiava di farmi perdere un’amicizia di lunga data. Forse era spirito di competizione. Guardai Francesco con la stessa ostilità con cui lui guardava me. La guerra era stata tacitamente dichiarata e non erano esclusi i colpi bassi.

Se sei ancora qui, o lettrice, e soprattutto se hai ancora intenzione di continuare a leggere, è chiaro sei masochista. Cosa ti sta offrendo questa storia che davvero ti interessi? Nulla, immagino. Del resto, sulle donne finora ho imparato ben poco. Solo che dovrei imparare ad ascoltarle ma la tua voce arriverebbe troppo tardi perché tu possa darmi consigli. Mi è stato detto che, se voglio scrivere storie d’amore, dovrei leggere quelle degli altri, per capirne gli ingredienti. Ma io, ammetto, non l’ho fatto. Ci ho provato, ne ho preso in mano un paio ma il frontespizio parlava di passioni, intrighi, soldi, tradimenti, segreti e triangoli. Non ti basta già Beatiful per tutto questo?I titoli, poi, sono orripilanti. Roba come “Bruciante passione”, “Desiderio”, “Sposerò David” (e chi se ne frega, mi verrebbe da dire!). Eppure, quelle storie e quei titoli rappresentano la tua voce, quello che chiedi ti venga offerto. Ed io ho promesso di imparare ad ascoltarti. Mi farà piacere, carissima, se mi seguirai ancora, ma ricordati che sono un uomo e, di conseguenza, mi comporto come un uomo. Ciò significa che, se anche imparo ad ascoltarti, questo non vuol dire che io ti assecondi…

Così iniziai a frequentare Ilaria. La andavo a trovare durante le prove, chiacchieravo con lei quando era in pausa e le facevo un’infinita di domande sui suoi gusti personali. Le dissi che l’avrei fatta diventare un’eroina dei romanzi d’amore. “Ma che onore!” rispose lei, in tono sarcastico.

“E mi raccomando, dammi dei partner belli, coraggiosi, forti, ricchi e perché no…anche bravi a letto!”
“Beh, sai…voglio allontanarmi dalle consuete abitudini dei romanzi d’amore. Nei miei libri la protagonista si innamorerà sempre di gente sfigata: guerci, mutilati, freak, impotenti, poveri in canna…” “Ma dai!”

“Si, ma non ti preoccupare. L’editore pretende l’happy end. Ciò vuol dire che il loro sarà comunque un amore felice!”

“E’ poco realistico!” “Ah, invece il milionario che incontra la mendicante e se ne innamora, quella sì, che è una storia credibile…” “Tu non capisci. Noi donne vogliamo poterci identificare in certe storie. Per questo hanno tanto successo. In modo da poter pensare: però, sarebbe bello se accadesse. Se lei ama uno storpio, questi deve guarire alla fine del romanzo, sennò manca il processo di identificazione!”
“Lui resta così per tutta la vita, ma lei lo ama troppo per separarsene. Però, sarebbe bello se accadesse…” dissi io.



[...]


Era una incantevole sera di giugno, c’era la luna piena e un sottile filo di brezza; Ilaria ed io eravamo seduti su degli scogli, in un punto in cui il mare si era ritirato e che quindi era possibile raggiungere senza bagnarsi. Eravamo lì, abbracciati e zitti, io la cingevo con un braccio mentre lei appoggiava la testa alla mia spalla. Vestiva un completo di seta nera con gonna in tweed che le scopriva le gambe di almeno una ventina di centimetri oltre le ginocchia, una cinta color oro formata da piccolissimi anelli incatenati tra loro, i capelli, lunghissimi e soffici, le scendevano anche davanti, coprendo il seno, portava, dei piccoli orecchini a forma di gemma, che riflettevano la luce della luna. Ma più di quelle pietre, splendevano i suoi occhi. Eppure, sembrava triste.

“Mi sto innamorando” disse. “Meno male!” risposi. “Figuriamoci come saresti se ti avessero inflitta la sedia elettrica!” “Anche l’amore è una condanna” disse lei, sospirando malinconica. “A me il tizio di cui ti sei innamorata già mi sta sulle palle. Se ti fa sentire così, dovresti fare di tutto per evitarlo” “E’ quello che penso anch’io” annuì. “Tanto più che è inaffidabile, irresponsabile, incapace, bugiardo, falso, volgare, egoista ed immaturo”. “Beh, dai, tu dici così di tutti gli uomini. Sono le stesse cose che ripeti spesso anche a me”. “Infatti sei tu”.

Ci rimasi di stucco. Avrei dovuto esserne felice, perché Ilaria mi piaceva davvero ma non mi andava giù il fatto che avesse una così pessima opinione sul mio conto. E neanche sopportavo il fatto che lei considerasse una condanna a morte l’amore per me, al punto da avere una faccia da funerale. Dopo quel breve dialogo, tornammo in silenzio, a guardare le onde del mare, mentre nel mio animo si affollavano sentimenti contrastanti.

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